Gesu in Alexandrina

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« Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mc 10,15). Fu questo il pensiero che mi ha accompagnato sempre nella stesura del presente lavoro in cui appare, per puri motivi storici, il mio nome.

Ed ora che ho documentato, prima che scomparissero i testimoni del Caso di Balasar, quanto mi è stato donato, provo soltanto la gioia che si gode per un dovere compiuto: nulla più.

Mi sento come colui che si toglie di dosso un vestito che non gli appartiene.

La fatica affrontata me la sono imposta per esprimere « un grazie eterno » al Datore di ogni bene e per la sua gloria, fiducioso che giovi alle anime.

Ci tengo subito a precisare che il fatto, non certamente comune, di Alexandrina (con le sue estasi, profezie, scrutazione delle coscienze, il digiuno totale e anuria) non appartiene certo alla rivelazione, nel senso che possa migliorare o addirittura completare l'annuncio di Cristo, e perciò non crea affatto un dovere diretto di adesione di fede.

Ma voglio anche ricordare, con Rahner, che rivelazioni private autentiche possono fondare missioni profetiche nella Chiesa, dando impulsi per l'agire del popolo di Dio e adattando alle nuove situazioni l'unico Vangelo permanente.

La vita straordinaria di Alexandrina fu, secondo l'affermazione di un teologo contemporaneo e coinvolto nel Caso, « una esplosione di soprannaturale che ha richiamato l'attenzione di enormi moltitudini sulla sua persona ». Conosciuto, subito dopo la morte di lei, ha suscitato autentici movimenti religiosi in molte parti del mondo verso quegli obiettivi che furono programma della sua vita.

Nessuno, in questi tempi, può negare la loro attualità ed urgenza se si considera quanto avviene nella Chiesa e nel mondo. Oggi una sbagliata interpretazione della secolarizzazione

Che cosa è poi questa mistica?

Vita mistica è la misteriosa vita della grazia di Cristo nelle anime fedeli che, morendo a se stesse, con Lui vivono nascoste in Dio (Col 3,3).

Cioè « è la vita intima che sperimentano le anime giuste, animate e possedute dallo Spirito di Gesù Cristo, ricevendone sempre più e sentendo, talvolta in modo chiaro, i suoi divini influssi - gaudiosi e dolorosi - per cui crescono e progrediscono, in unione e conformità con Lui che ne è il Capo, fino ad essere in Lui trasformate » (Gal 4,19; 2 Cor 3,18).

Questa vita può essere vissuta in maniera inconscia, come il bambino vive la vita razionale o umana.

La vivono così i principianti ed in generale gli asceti che camminano verso la perfezione per « vie ordinarie » meditando laboriosamente i misteri divini, esercitando la mortificazione delle passioni e la pratica delle virtù e della pietà.

Ma può essere vissuta anche in modo cosciente, con una certa esperienza intima dei misteriosi tocchi e influssi divini, e della reale presenza vivificatrice dello Spirito Santo.

Così la vivono molte anime assai progredite, giunte al perfetto esercizio delle virtù; come anche altre anime privilegiate, scelte, molto presto, liberamente, da Dio per farle giungere più in fretta, quasi sulle sue braccia, attraverso le « vie straordinarie » della contemplazione infusa.

Coloro che vivono così, più o meno coscientemente, della vita divina si chiamano mistiche o contemplative.

Mistiche, per l'intima esperienza che hanno degli occulti misteri di Dio; contemplative perché la loro abituale preghiera suole essere la contemplazione che Dio stesso infonde a chi vuole, quando e come vuole.

La preghiera degli asceti è meditazione discorsiva che, con la grazia ordinaria che Dio non nega a nessuno, possono perfezionare fino a convertirla in orazione di semplicità o contemplazione in parte infusa e in parte acquisita. Essa suole essere accompagnata da una certa presenza amorosa di Dio, originata da un influsso dello Spirito Consolatore per realizzare la transizione graduale dallo stato ascetico allo stato mistico. Sta scritto infatti che « le cose di Dio nessuno le conosce se non lo stesso Spirito di Dio » (1 Cor 2,11) e « colui a cui il Figlio vorrà rivelarle » (Mt 11,27).

Per giungere allo stato mistico è necessario essersi consolidati nella virtù, vincendo se stessi e conformando sempre più la propria volontà alla volontà di Dio. Soltanto così l'anima incomincia a sentire e notare certi desideri, impulsi o istinti del tutto nuovi e veramente divini, non provenienti da lei, che la spingono ad un genere di vita sconosciuto e di perfezione molto superiore.

Esercitandosi davvero nella virtù, l'anima entra in quella maturazione « dell'uomo perfetto » per cui incomincerà a vedere davanti a sé la luce e la discrezione dello Spirito di Cristo, come insegna l'apostolo (Ef 5,14).

Sottomessa la prudenza della carne - che è morte - a quella dello Spirito che è « vita e pace », incomincerà a vivere come « spirituale », a muoversi sotto gli influssi del divino Consolatore.

Vedendosi, allora, mossa dallo Spirito di Cristo, riconosce di essere figlia di Dio perché quello Spirito di adozione che la muove gliene dà testimonianza e la spinge a chiamare « Padre » il Dio onnipotente (Rom 8,6.16).

Questa spinta avuta, genera in lei il dono della pietà: chiama Dio con questo amoroso nome senza avvertire che è il suo stesso Spirito di amore a muoverla.

Passa così dalla semplice unione di conformità in cui ella agiva all'unione trasformante in cui si ha Dio come unico direttore e motore ordinario della propria vita (santa Teresa, Mansione V, 2; VIII, 3).

È qui che l'anima comprende non soltanto di operare con la virtù di Cristo, ma che lo stesso Cristo col quale è configurata (essendo morta e risuscitata con Lui e da cui ha ricevuto l'impressione del sigillo vivo) è Colui che opera e vive in lei e con lei. Così può ripetere, in tutta verità, « vivo io, ma non sono io che vivo, è Cristo che vive in me ». Infatti il suo vivere è Cristo, il cui Spirito la vivifica in tutto poiché regna nel suo cuore come padrone assoluto. (Cf Giovanni della Croce, strofe 3,5; 12,2; 22; 23,1; 36,5).

Vita mistica traguardo del cristiano

Da quanto esposto risalta l'importanza per l'anima di curare la crescita di virtù in virtù per giungere sino all'unione con Dio e fino alla trasformazione deificante. Tutti i Padri insegnano che questo è il punto capitale della vita cristiana: giungere cioè ad assomigliare a Dio come un figlio a suo Padre: « siate perfetti com'è perfetto il vostro Padre dei cieli » (Mt 5,48).

L'invito è diretto ai figli del regno i quali, per ciò stesso, sono già di Dio perché « se uno non rinasce per il battesimo nell'acqua e nello Spirito Santo, non può entrare nel suo regno ».

Però lo stesso Verbo incarnato « a quanti lo ricevono dà il potere di diventare figli di Dio, rinascendo da Lui » per la grazia santificante (Gv 1,12-13; 3,5).

Questa grazia è una perfezione sostanziale, una seconda natura che ci fa nuove creature in quanto ci trasforma e divinizza. Siamo figli di Dio, proprie et formaliter, non tanto per un dono creato quanto per l'inabitazione del divino Spirito che vivifica e muove le nostre anime.

Questo titolo di figli di Dio non è un nome vano, né una semplice iperbole... Indica una reale dignità, soprannaturale, essenziale a tutti i giusti ed è frutto di redenzione e dono di salvezza. Nel riceverla, con la grazia santificante, per adozione, diventiamo in certo modo per Iddio ciò che il suo Figlio è per essenza.

Senza identificarci o confonderci con Lui, cioè senza sopprimere la nostra natura, Dio ci associa alla sua, ci fa partecipi del suo Spirito, della sua luce con la fede, del suo amore con la carità, delle sue operazioni in virtù della sua grazia. Pone nella nostra anima un nuovo principio di azione, il germe di una vita superiore, soprannaturale, divina, destinata a crescere e svilupparsi nel tempo per mostrarsi pienamente nella eternità, ove parteciperemo della sua gloria e del regno » (Manuel Biblique, vol. IV, p. 216, n. 587). Ecco la razza nuova, la stirpe divina di cui parla san Pietro: un uomo divinizzato, incorporato col Verbo fatto uomo, animato dallo stesso Spirito Santo.

S. Agostino insegna: « Se Dio si è umiliato sino a farsi uomo, fu per elevare gli uomini e farne degli dei » (Serm. 166); « li deifica con la sua grazia; perché giustificandoli li deifica, facendoli figli di Dio e perciò dèi » (S. Agostino in Ps. 49,2). Il P. Ramiere scrive: «Sembra giunto il tempo in cui il grande dogma dell'incorporazione dei cristiani con Cristo avrà, nell'insegnamento ai fedeli, la stessa importanza che gli è data nella dottrina apostolica. È giunto il tempo che non si considererà più come accessorio il punto in cui san Paolo fondava tutto il suo insegnamento; in cui si comprenderà che questa unione presentata dal Salvatore con l'immagine dei sarmenti uniti alla vite, non è una metafora, ma una realtà; che nel battesimo diventiamo realmente partecipi della vita di Cristo; che riceviamo, non in figura ma realmente, il divino Spirito, principio di questa vita, e che senza spogliarci della nostra personalità umana, diventiamo membra di un corpo divino acquistando, perciò stesso, forze divine » (Esperances de l'Eglise, p. 111, cap. 4).

Alexandrina, portatrice di un messaggio divino

Quanto abbiamo detto è veramente il nucleo essenziale del messaggio di Alexandrina: l'esperienza mistica da lei vissuta. La mistica non è un fossile perché la serva di Dio (…ggi, Beata…) è di oggi. Siamo testimoni; e questa autobiografia conferma che ella non ha cercato se stessa: è morta perché morisse in lei la morte e vivesse in lei Dio, il quale ha operato quell'unità che la fece vivere in Lui, imprimendole l'immagine della sua maestà: « Tu sei la mia Alexandrina trasformata in Cristo! ».

E di Cristo ricevette il sigillo vivo, il 3 ottobre 1938, quando sofferse la prima volta la Passione del suo Sposo e Signore. Ne fu talmente inebriata che, nello stesso giorno, di suo pugno, scrisse su un'immagine: « Gesù mi ha condotta dall'Orto al Calvario. Che grande fortuna! Ora posso dire: "Sono crocifissa con Cristo"! ».

Attraverso il diario che ella dettava noi comprendiamo, per esempio, la frase dell'apostolo Paolo: « Sono stato crocifisso con Cristo... Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me ».

Sono di quelle frasi che i cosiddetti « intellettuali e maestri » moderni sanno ripetere per averle udite o lette ma che, ignorandone perfino le genuine fonti, non potranno mai comprendere nel loro significato profondo e neppure spiegare; tanto meno assaporarle nella loro trascendenza estasiante ed impegnativa. Alexandrina, vittima con e in Gesù per i peccatori, ci conduce a penetrare nel tremendo mistero del Crocifisso espresso in quella frase di Paolo: « Colui che non conobbe peccato, Egli (Dio) lo fece peccato per noi affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in Lui » (2 Cor 5,21).

Nessuna elucubrazione teologica o psicologica raggiungerà mai la potenza tragica delle descrizioni che quest'umile figlia della campagna, quasi analfabeta, ci presenta di questo dramma da lei vissuto per lunghi anni.

In lei è l'amore del Cuore di Gesù a proporsi all'umanità che continua a peccare. E' questo amore che si vuole donare a tutti attraverso il Cuore della sua Madre benedetta.

In Alexandrina è il Cristo Crocifisso a chiamare gli uomini a tuffarsi nel suo Sangue redentore, a unire il proprio dolore a quello della sua Passione, perpetuata nell'Eucarestia e nelle membra del suo corpo mistico, affinché tutta l'umanità sia salva.

Per comprenderne il linguaggio

Alexandrina, offertasi vittima a Gesù, fu dallo Spirito Santo identificata tanto con Lui da sentirsi davvero un altro Cristo. Mons. Orazio de Araújo, all'apertura del processo, ha affermato: « In Alexandrina si vedeva e si sentiva Cristo per trasparenza ».

Chi leggerà queste pagine della serva di Dio (…oggi, Beata…) e non conoscesse queste misteriose vie del Signore, potrebbe talvolta rimanere disorientato di fronte al suo linguaggio. Il lettore non deve mai dimenticare che Alexandrina, come e con Gesù operante in lei, si è addossata il mondo ed è, contemporaneamente, identificata con la Vittima divina: in lei parla il mondo e in lei parla Gesù.

Aiuterà senza dubbio la comprensione del suo linguaggio questo brano di sant'Agostino a commento del salmo messianico che è una supplica del peccatore in pericolo mortale.

Il santo dottore si domanda come potesse Cristo che era senza colpa dire: « Per il tuo sdegno non c'è in me nulla di sano; nulla è intatto nelle mie ossa per i miei peccati ».

A più riprese, egli spiega la cosa dicendo che qui è necessario comprendere la dottrina del corpo mistico già esposta da san Paolo.

« Quando parla Cristo, a volte egli parla come capo soltanto, altre volte parla a nome del suo corpo che è la Chiesa... e noi pure siamo in questo corpo e siamo membra sue e perciò ritroviamo noi stessi in Lui che parla... Di chi sono i peccati se non del corpo cioè della Chiesa di Cristo? Tuttavia uno solo parla: il capo e il corpo. Essi infatti sono due in una sola carne (Ef 5,31-32).

Se Cristo e la Chiesa sono una sola carne, una sarà la lingua, medesime le parole di entrambi...

Non vi è divisione di persone, solo c'è distinzione di dignità: perché il capo salva, il corpo è salvato. Il capo dona misericordia, il corpo piange la sua miseria. Il capo purifica dai peccati, il corpo confessa i peccati: una sola, tuttavia, è la voce. Noi ascoltiamo questa voce, possiamo bensì distinguere quando parla il corpo e quando parla il capo, ma non dobbiamo separare la voce dell'uno da quella dell'altro » (S. Agostino, Enarr. sul salmo 37,6).

Le fonti di quest'opera

Santa Maria Maddalena de Pazzi spiega che quando l'anima è giunta all'unione trasformante « il Verbo stesso discende in lei e vi opera ciò che realmente ha fatto nella sua Umanità dall'incarnazione alla morte... e che infine muore, risuscita, sale al cielo con Lui rimanendo sulla terra ».

Quando, nel lontano 1944, dalla bocca di Alexandrina intravidi queste divine operazioni nella sua anima e fui chiesto di dirigerla spiritualmente, le imposi di dettare minuziosamente il suo diario affinché nulla si perdesse di questa esperienza mistica.

Sentivo che avrei impoverito il mondo e soffocato un'onda di glorificazione a Dio che irrompeva attraverso quella vittima consacrata totalmente all'Amore per la salvezza dei peccatori.

Il lavoro per l'impostazione del processo diocesano di beatificazione, ormai passato alle Congregazioni romane, ha stimolato le mie ricerche. Si è potuto archiviare una ricchezza insperata di scritti e di testimonianze che provano le altezze di contemplazione a cui è giunta la serva di Dio e la missione destinatale dal Signore per il suo piano divino di salvezza. Ne riporto l'elenco:

— Lettere al primo direttore, pagine, dattiloscritte ad un solo spazio, 1270

— Autobiografia, pagine 65

— Lettere e diario al secondo direttore, pagine 1957

— Diario autografo, pagine 105

— Pensieri sciolti, pagine 91

— Lettere a diversi, pagine 411.

Un totale di 3899 pagine; ecco la fonte a cui ho attinto per l'organizzazione, la traduzione e il commento di questo lavoro. Naturalmente non riporto se non una parte del cumulo di materiale. Mi sono preoccupato di tradurre soltanto quello che poteva servire per mettere in evidenza l'evoluzione mistica di Alexandrina, cioè il processo di formazione, sviluppo ed estensione della sua vita prodigiosa « sino a formarsi Cristo in lei » (Gal 4,19) e « trasformarsi nella sua divina immagine » (2 Cor 3,18).

La scelta non fu facile. Vi sono necessariamente delle ripetizioni, in cui però un lettore attento coglierà delle sfumature differenti e di non poca bellezza e profondità.

Lo scopo propostomi fu di far ascoltare dalla stessa Alexandrina la narrazione della sua vita, che, se non è ricca di fatti esterni, è colma di azioni interiori descritte in maniera sublime.

Ecco alcuni giudizi sugli scritti a cui ho attinto.

Il teologo Molho de Faria si e espresso così: « Vi è tanta bellezza ed esattezza in alcune cose di reale difficoltà teologica, che, sapendo da chi vengono, non possiamo non vedere chiaramente il potere di Dio. Vi sono modi di esprimersi ed immagini di tanta grandiosità e proprietà nell'esporre desideri e affetti che dobbiamo ammettere un sentimento altissimo. Credo che un giorno si farà piena giustizia » (2-3-1943).

I Padri Passionisti di Barroselas scrivono: « Sono davvero ammirabili se si considera la mancanza di studi di chi scrive» (17-4-1947).

Il carri. Manuel Goncalves Cerejeira ha scritto: « Ciò che ha pubblicato delle lettere di Alexandrina è quanto vi è di più sublime. Nessun artista ha saputo dire cose tanto belle. Già nelle estasi avevo letto cose veramente ammirabili. Anche i poeti più illustri avrebbero goduto di raggiungere quel livello di intensità, di emozione, di semplicità e bellezza» (28-6-1956).

Mons. Mendes do Carmo, maestro di mistica, dice: " Tante pagine traboccano di tal sapore mistico che qualsiasi insegnante di questa materia, il quale non avesse anche esperienze personali della vita mistica dei più grandi santi, sarebbe incapace di scriverle. La scienza che splende nelle migliaia di pagine di Alexandrina (la quasi analfabeta perché non frequentò neppure la seconda elementare) non può essere una scienza umana, ma una scienza divina infusa " (17-5-1960).

Un chiarimento doveroso

Quest'opera comprende anche un'Appendice con Documenti i quali convalidano la storicità della meravigliosa avventura spirituale della Serva di Dio (…oggi Beata…).

È lei che narra, attraverso le pagine scritte o dettate generalmente alla sorella Deolinda. Gli originali non hanno nessuna correzione: le cose sono scritte con la limpidezza intatta di un'acqua che sgorga dalla fonte.

Ho dovuto integrare la narrazione del diario, là dove mi parve necessario per riempire lacune o documentare qualche argomento di importanza, con lettere ai suoi direttori o al medico, ecc.

Di mio vi sono i titoli. Li ho voluti per rendere più leggera la lettura, pur riconoscendo che non sempre esprimono tutto il contenuto dei capitoli, densi di significati e di sfumature.

Qua o colà ho aggiunto fra parentesi quadra qualche parola per facilitare la comprensione o per legare certi periodi presi da un determinato contesto o da altri documenti. Però tutto sommato si riducono a ben poche cose.

Sono anche mie le note storiche, bibliche, teologiche e i rimandi ad altri libri sulla Serva di Dio (…oggi Beata…).

La traduzione non è stata facile. Sovente ho preferito la fedeltà del pensiero dell'Autrice alla proprietà della lingua italiana. Il lettore mi sia benigno.

Mi sento in dovere di ringraziare chi mi ha stimolato ad accingermi a questo lavoro, chi mi ha aiutato a correggerlo, chi mi è venuto incontro per portarlo a termine, a precisare o completare molte note storiche.

Un grazie sentito a chi, infine, per devozione verso Alexandrina, ha finanziato la stampa del libro.

Leumann (To) 13-10-1973 D. UMBERTO M. PASQUALE

   

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