Primo
incontro con il dott. Azevedo - Nuovi esami medici
Il 29
gennaio 1941 ebbi la visita di un sacerdote conoscente e di varie
persone della sua parrocchia. Dopo una lunga conversazione, seppi che
tra loro vi era un medico. Arrossii, non per avere mentito circa i miei
dolori, ma perché non me l'aspettavo. Egli non parlò e si mantenne
sorridente. Non so cosa provai a suo riguardo. Ero ben lontana dal
pensare che dopo poco tempo sarebbe diventato il mio medico curante. [Il
dott. Azevedo] incominciò [la sua opera] con l'esaminarmi minuziosamente,
ma con tutta delicatezza e carità. Terminato il suo studio, ritenne
conveniente invitare il dott. Abel Pacheco e il mio medico curante di
allora... Io rimasi molto triste perché ero satura di esami medici, ma
accettai la nuova prova come volontà di Dio e per il bene delle anime.
Il primo maggio dello stesso anno fui esaminata dal dott. Pacheco. L'esame
durò pochi minuti, ma fu causa di grandi sofferenze al corpo e all'anima:
al corpo perché le sue mani parevano di ferro; all'anima perché sentiva
già le umiliazioni e i risultati di quell'esame.
Con tutto
questo, ero ancora lontana dalla fine!
II ritorno di
una pecorella
« Gesù mi
ha preparata alla sofferenza di martedì scorso. Non ne so il motivo.
Forse perché è partita di qui per Braga quell'anima decisa a
riconciliarsi col Signore? Lo sa Gesù a cui io ho offerto i miei dolori
e sacrifici affinché quel peccatore facesse una buona confessione. La
sofferenza fu grande da non poterne più. Non provai gioia per il ritorno
di quella pecorella. Mercoledì, giorno di san Giuseppe, ho ricevuto le
corone che lei mi ha mandato per mezzo di quell'uomo [si tratta di un
certo Machado di Balasar]. Alcune persone hanno provato grande gioia nel
vederlo fare la comunione davanti a tutti. Alla notizia io rimasi sempre
nella tristezza e nella morte: non ebbi un momento di contentezza... ...
Passai il giorno di san Giuseppe nelle tenebre, senza poter vedere il
cielo ma con ansie continue di dare anime al mio Gesù e di percorrere il
paese intero alla loro ricerca... » (lettera a p. Pinho, 21-3-1941).
Ancora medici nel
caso
« ... Si
sta avverando il mio presentimento circa l'esame del dott. Abele
Pacheco. Parlai col medico Azevedo ed egli mi disse che è quasi
indispensabile, ma che ripensassi la cosa davanti al Signore. Se poi
intendessi che non si deve fare non si farebbe. Però il Signore mi ha
dato questi sentimenti: "di mettermi nelle mani dei medici come Lui si è
consegnato alla morte; solo così il mio sacrificio sarà completo". Che
mi dice al riguardo?... » (lettera a p. Pinho, 28-3-1941).
« ... La
giornata di oggi non trascorse senza che cadesse su di me un dolore
dell'anima e del cuore ben difficile da sopportare. Al calar della notte
si scatenò una delle più tremende tempeste. Incominciai a sentire una
rivolta e un fortissimo desiderio di impormi perché i medici non vengano
per il loro esame per rimanere libera da molte umiliazioni e dispiaceri.
Sentivo in me forte resistenza, non volevo consegnarmi al dolore; volevo
soffrire tutto come se nulla sentissi. Ed allora cadde su di me tutta la
rabbia infernale: ho capito che era opera dell'inferno. I demoni erano
rabbiosi, volevano inghiottire tutto il mio corpo. Dopo ero rivoltata
soprattutto contro il medico Azevedo; mi pareva di avere contro di lui
un odio di morte e che ero io stessa a volerlo mordere per farlo a pezzi
e frantumarlo. Che tempesta tremenda! Solo nelle braccia di Gesù e della
cara Mammina potevo essere sicura di non offendere il mio Dio. Se il
mondo sapesse le insidie del nemico, i lacci che prepara alle anime per
farle peccare!... Penso di non avere disgustato il mio Gesù, perché io
voglio solo quello che Lui vuole e non mai offenderlo... » (lettera a p.
Pinho, 5-4-1941).
« ... Il
medico mi ha scritto per dirmi che è andato a Braga ma che non lo ha
trovato; però le scriverà per dirle ciò che succede. Ha già parlato col
dott. Abele Pacheco il quale è pronto a venire per l'esame. Il medico di
malattie nervose non viene e non ha assicurato di venire anche in
seguito. Non so ancora il giorno in cui sarò esaminata. Me lo
comunicherà? Preghi per me affinché Gesù mi dia forza... » (lettera a p.
Pinho, 6-4-1941).
« ...
Padre mio, se mi desse il permesso di chiedere a Gesù il paradiso al più
presto!... Non è per fuggire il dolore, ma perché la mia sofferenza e la
Crocifissione sta diventando troppo conosciuta. Vorrei fuggire il mondo
affinché non mi conosca più oltre. Oh la mia crocifissione quanti
tormenti mi ha portato! Ho tanta nostalgia del tempo in cui Gesù mi
parlava sovente e nessuno sapeva della mia vita se non colui che per
diritto doveva sapere... » (lettera a p. Pinho, 25-4-1941).
« ...
Verso sera a complemento del mio dolore ho ricevuto dal degnissimo
medico Azevedo la notizia che giovedì, primo maggio, sarebbe venuto il
dottor Abele Pacheco di Oporto per l'esame. Fu come una lancia che mi
trafisse il cuore e lo inchiodasse crudelmente sulla nuda terra. Ed era
contro la terra che esso sanguinava di dolore. Venne il lunedì e lo
passai nella stessa sofferenza. Volevo sfogarmi per buttar fuori i
timori e la vergogna che mi tormentavano. Mi ricordai che era una buona
occasione per consolare e riparare il mio Gesù soffrendo in silenzio con
Lui; Gli ho offerto il sacrificio in silenzio e gli ho promesso di non
parlare. Mi è costato molto ma con Gesù ho vinto... Ho preparato con
cura e gioia l'altarino di Mammina... Le ho scritto una lettera e la
posi ai suoi piedi per il primo giorno del suo mese. Confido che mi farà
quanto le ho chiesto...
Venne il
giovedì; fu molto triste: attendevo i medici. Che tormento! Dicevo tra
me: "Primo maggio come sei penoso! Cosa avverrà ancora prima della
fine?".
Nella
comunione ho offerto il sacrificio che dovevo affrontare; e l'offersi
per quelle anime che vanno dai medici col fine di peccare e di offendere
Gesù. Ho implorato la forza del Cielo; ho chiesto luce e amore allo
Spirito Santo, il soccorso della Santissima Trinità, di Gesù
sacramentato, della cara Mammina, di san Giuseppe, santa Teresina, santa
Gemma ecc. Venne l'ora e fui esaminata. Mi costarono molto i dolori del
corpo ma anche quelli dell'anima. Che umiliazione! Appena i medici se ne
andarono volevo piangere; a stento nascosi le lagrime. Dissi a Gesù che
non piangevo affinché anche Lui non piangesse per i peccati del mondo.
Alzai lo sguardo verso la cara Mammina e le dissi: - Sono pronta ad
altro sacrificio... Dillo a Gesù per me. Fa' che io soffra! Fa' che io
ami! Voglio morire di amore. - Ebbi per tutto il giorno il corpo e
l'anima in un mare di dolore!... » (lettera a p. Pinho, 2-5-1941).
Fui
avvisata dal dott. Azevedo che sarebbe stato meglio ritornare a Oporto
per consultare il dott. Gomes de Araujo. Pregai per un mese per sapere
se questa era la volontà di Dio. Più chiedevo luce e più aumentavano le
tenebre e più profondo diveniva il dolore dell'anima perché non sapevo
cosa fare. Finalmente il Signore mi disse che voleva che io partissi. «
... Peccato che il mondo non conosca l'amore che Gesù porta alle anime!
Lo vedremmo più amato e meno offeso. Finalmente Gesù mi ha illuminata.
Andremo ad Oporto. È volontà sua per aumentare la mia sofferenza. Sarà
anche per sua maggior gloria. Lui lo sa. Ho sofferto nel chiedergli luce
e non averla. Ma ora la mia agonia è ancora maggiore. Ho tanta vergogna,
tanta paura. Mio Dio, sia per tuo amore!... » (lettera al dott. Azevedo,
3-7-1941).
« ... Mi
trovo in una notte oscura e senza una goccia di rugiada. Non v'è balsamo
per il dolore della mia anima. Vedo di lontano i colpi che feriranno il
mio cuore. Stento a respirare per il peso delle umiliazioni. All'idea
delle sofferenze che mi porterà il mio viaggio ad Oporto, dico fra me: -
Vado al giudizio. - ... Oppressa e annientata da questo dolore, penso: -
E' per Gesù, per le anime! - E allora tutto il mio essere si trasforma
in un solo pensiero: - Dio in tutto e al di sopra di tutto. -
Trascorrerei tutta la mia vita a pensare solo a Dio. Tutto passa, Dio
solo rimane. Il pensiero di Dio abbraccia cielo e terra. Mi sprofondo in
Lui. Posso amarlo e pensarlo tutta l'eternità. Questo pensiero mi
solleva; soltanto così addolcisco il mio dolore e posso sorridere al
quadro triste e doloroso che mi si presenta. Fingo di esser in una
grande gioia per il mio viaggio a Oporto, per rallegrare i miei,
affinché non comprendano il dolore del mio cuore... » (lettera a p.
Pinho, 14-7-1941).
Secondo viaggio ad
Oporto
Il mio
stato fisico era molto grave. Temevano di togliermi dal letto per un sì
lungo viaggio. Anch'io temevo, e molto: se il solo toccarmi era causa di
tante sofferenze, come potevo andare così lontano?... Incoraggiata dalle
parole del Signore, confidavo in Lui e sotto la sua azione divina mi
preparavo a partire all'alba del 15 luglio 1941.
Alle
quattro avevo già fatto le mie preghiere. Per fingere di essere
contenta, chiamai mia sorella dicendole che andavamo « alla città »:
solo per mantenere nascosto il mio dolore. Mentre stavo dicendo questo,
sentii un'automobile fermarsi presso la nostra casa.
Entrò
nella mia camera il dott. Azevedo con un signore amico. Dopo breve
conversazione, mentre mia sorella si vestiva, ci preparammo per uscire.
Partimmo alle 4,30, per non allarmare il popolo; era ancora buio;
infatti uscimmo dal paese senza incontrare nessuno. In quale silenzio
era mai la mia anima! Immersa in un abisso di tristezza, senza
interrompere la mia unione intima con Gesù, viaggiavo chiedendogli
sempre coraggio per l'esame che mi attendeva e offrendo il mio
sacrificio per avere il suo divino Amore e per le anime. Invocavo la
Mamma celeste e i santi più cari.
Non mi
attirava nulla e tutto quanto vedevo mi causava profonda tristezza. Ogni
tanto interrompevano il mio silenzio per chiedermi se andavo bene;
ringraziavo senza uscire dall'abisso in cui ero immersa. Era giorno
quando ci fermammo a Trofa, in casa del signore che ci accompagnava: lì
dovevo riposare e ricevere il mio Gesù, in attesa di ripartire per
Oporto. Prima di riprendere il viaggio, fui portata in giardino e,
sorretta dall'azione divina, arrivai fino ad alcuni fiorellini che
raccolsi pensando: - Il Signore, quando li creò già sapeva che oggi
sarei venuta a raccoglierli. - Fui fotografata in due luoghi diversi e,
dall'uno all'altro, andai con le mie gambe, ciò che mai più avevo fatto
da quando mi ero posta a letto anzi, neppure più mi ero voltata da sola
nel letto. Fu un miracolo di Dio, perché senza di Lui non mi sarei mossa.
Riprendemmo il viaggio: la mia anima soffriva orribilmente. A pochi
chilometri da Oporto Gesù ritirò la sua azione divina. Incominciai a
sentire le solite sofferenze fisiche che resero tormentosa la fine del
viaggio; dissi, non perché sapessi la distanza ma perché il mio stato me
lo fece dire: - Siamo già vicini ad Oporto. - Qualcuno rispose: - Ci
siamo, ci siamo! - Infatti aveva visto che mancavano solo sei chilometri.
La salita al consultorio fu dolorosa oltre ogni dire: martirio del
corpo, agonia dell'anima; mi pareva di morire. Prima di entrare nella
sala delle visite, dissi a chi mi portava in braccio: - Posatemi,
posatemi, anche sul pavimento! - In quell'istante apparve il medico che
mi fece stendere su un lettino, dove rimasi in attesa della visita.
Qualche momento prima di entrare nella sala medica Gesù mi liberò
dell'agonia dell'anima e mi lasciò solo i dolori fisici, di modo che
potei resistere meglio. La visita fu molto lunga e dolorosa. Mentre mi
spogliavano
mi
facevano coraggio ed io, ricordando ciò che avevano fatto a Gesù, dissi
tra me: - Hanno spogliato anche Gesù - e non pensai più ad altro. Il
dott. Gomes de Araújo, anche se un poco brusco, fu prudente e delicato.
Durante il ritorno a casa, Gesù esercitò su di me la sua azione divina,
perché resistessi al viaggio, ma mi diede nuovamente le agonie
dell'anima. Arrivati a Ribeirāo mi fecero riposare nella casa del dott.
Azevedo per attendere la notte e poter rientrare in paese senza che
nessuno se ne accorgesse.
Sia in
casa del signor Sampaio che in quella del medico sono stata trattata con
tutte le attenzioni; ma nulla mi dava conforto, anche se sorridevo a
tutti per nascondere il più possibile il mio dolore. Riprendemmo il
viaggio che era già notte; tutto mi invitava ad un silenzio sempre più
profondo. Ero astratta da tutto. Durante il tragitto non vidi altro che
i fiori del giardino di Famalicāo, perché me li additarono. Arrivammo a
casa a mezzanotte, ottenendo così che nessuno si accorgesse della nostra
temporanea assenza.
Dopo quel
viaggio aumentarono assai i dolori fisici. [Scrisse al direttore:] « ...
Preoccupata di avere Gesù sulle labbra e nel cuore, arrivai alla mia
povera casetta e subito fui triturata dai dolori che mi consumavano il
corpo, effetto forse dell'esame e del viaggio... Nelle ore di maggiore
angustia Gesù mi disse: - Ecco, figlia mia, le tue sofferenze per i
sacerdoti. Soffri per loro. Il dolore ripara. Gli ardori che ti bruciano
sono gli ardori delle loro passioni. Mi sono servito dell'esame medico
per farti soffrire per loro. - ... » (lettera a p. Pinho, 17-7-1941).
[Scrisse
al medico:] « ... I miei dolori, aumentati forse dall'esame, continuano.
Ma non importa. Ho modo di dare di più a Gesù ed Egli ha modo di
distribuire alle anime. Io voglio consolare il suo divin Cuore tanto
ferito. Voglio che la mia sofferenza sia come incenso finissimo che sale
continuamente al cielo. Grava su di me il peso delle umiliazioni e mi
affligge tanto il sentire di essere causa di umiliazioni per lei e per
il mio padre spirituale. Mi perdoni tutto. Io non vorrei farla soffrire...
» (lettera al dott. Azevedo, 23-7-1941).
Visita di
un sacerdote « giornalista » e conseguenze
Il 27
agosto 1941 ebbi la visita del parroco accompagnato da p. Tercas e da un
altro sacerdote. Questa visita mi fu molto disgustosa perché feci il
sacrificio di rispondere di fronte a tutti ad una serie di domande del
p. Tercas. Risposi coscienziosamente ad ogni domanda, perché pensavo che
fosse venuto per motivo di studio, come altri avevano fatto. Soltanto il
Signore sa valutare quanto mi costò il dover parlare della « Passione »;
fu su questa soprattutto che mi interrogò. Il parroco mi disse che il
reverendo [p. Tercas] voleva ritornare venerdì, 29 agosto [per assistere
alla Passione]. Non volevo acconsentire senza consultare il mio
direttore ma, avendomi detto che doveva partire per Lisbona in quei
giorni [quindi non poteva attendere], cedetti dicendo: - Penso che lei
non venga qui per curiosità, nevvero? — Rassicuratami che no,
acconsentii, anche se la sua visita in un venerdì mi dispiaceva assai.
Venne, ma condusse anche tre sacerdoti. Ero ben lontana dal supporre che
quella visita mi preparava un nuovo calvario: poco dopo egli pubblicò
quanto vide e seppe da me. Che il Signore accetti il dolore causatomi da
quella pubblicazione e dal sapere di pubblico dominio i miei segreti
nascosti durante lunghi anni! Ogni tanto mi giungevano all'orecchio i
commenti che si facevano su di me: erano spine acute che
involontariamente le persone mi configgevano nell'anima. Chi leggeva
quella rivista o ascoltava quello che si diceva di me ne riceveva
differenti impressioni. [Scrisse al direttore: ] « ... So che pochi mi
comprenderanno, ma mi basta una sola cosa: Gesù comprende tutto. Ho
saputo che ieri [gente venuta da fuori] domandavano già di una certa
Alexandrina di Balasar e che persone del paese richiedevano la rivista
in cui si parla di me. Ho pianto molto. Voltata verso il tabernacolo
della chiesa ho detto a Gesù: - Hai permesso che io arrivassi a questo
punto e non vieni a prendermi per il cielo! - D'improvviso mi venne in
mente che potevo fare contento Gesù e dissi: - Non piango più, perché
Gesù non vuole. Voglio soffrire tutto per salvare anime e per amore di
Gesù e di Mammina. - Infatti ho sempre sorriso, anche se dentro piangevo,
perché nel mio cuore regnava la sofferenza. La pubblicazione della mia
vita è una spina che non cesserà di ferirmi... » (lettera a p. Pinho,
19-12-1941).
Il mio
viaggio a Oporto e la pubblicazione della mia vita allarmarono i
superiori del mio direttore a tal punto che forse potranno proibirgli di
venire da me, di prestarmi l'assistenza religiosa di cui ho bisogno e
perfino di scrivermi e di ricevere mie notizie!
Da allora
cominciai a vivere di illusioni: — Verrà oggi, verrà domani? — Quante
cose mi venivano in mente! Il pensiero di perdere tempo in divagazioni
inutili mi addolorava, ma non riuscivo a sviare il mio spirito da ciò
che mi faceva soffrire tanto.
La mia
vita divenne un sacrificio totale. Posso quindi affermare che non so
cosa sia il godere, anche se non me ne duole. Mi sento alla fine della
vita: aspetto l'eternità. Soltanto là potrò ringraziare Gesù di avermi
scelta per questa vita di continuo sacrificio, per amare soltanto Lui,
per salvargli anime.
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