
Dopo la
consacrazione del mondo
« ... Non
è ancora giunta la mia fine: questo è un sacrificio in più; tutto per
Gesù e per le anime. Prima che gli uomini cedano alla volontà di Gesù ci
vorrà ancora molto tempo? Io sono in ansia e dico a Gesù: - Il mio cuore
vien meno. Non posso più aspettare. Non ho commesso nessun delitto,
perché mi sia applicato un così grave castigo. -
Povera
me, se dovessi essere giudicata dal mondo! In verità hanno ragione di
giudicarmi male: senza il Signore sarei capace di fare quanto vi è di
peggiore.
Dalle
parole di Gesù, in cui confido ciecamente, mi pare che sia prossima la
mia vera vita: il cielo, il cielo, oh il cielo! vado a godere il cielo!
Il giorno 13 dicembre, di buon mattino, - non fu sogno e, penso, non
illusione - vidi la Mammina di Fatima elevata, non so su che cosa, a
grande altezza. Attorno a Lei, in basso, un universo di gente che Ella
guardava con tenerezza. Mi trovai fuori di me stessa: mi parve di essere
stata trasportata in un'altra regione. ... La mia anima soffre molto
dopo la consacrazione del mondo alla Mammina... ... La mia febbre
continua... i miei sudori non si spiegano; non so come posso vivere;
solo questo dovrebbe arrivare a dar luce... » (lettera a p. Pinho,
2-1-1943).
Ridatemi chi mi
guida a Gesù
«
Reverendo Padre Provinciale, stanotte, verso le due e mezza, chiesi a
mia sorella di muovere il mio corpo inzuppato di sudore. Mi sfuggiva la
vita, mi mancavano le forze. La mia anima, sempre più bramosa di volare
a Dio, era in una dolorosa agonia. Aveva bisogno di sostegno: voleva
luce; quella luce che pochi sacerdoti sanno dare alle anime. Sola con
Gesù, intimamente, gli andavo dicendo: - Dammi il padre spirituale,
dammelo nuovamente, sebbene tu non l'abbia allontanato da me, grazie a
quella unione che non è affatto, o quasi, compresa. Ma ora, mio Gesù,
essa non basta; non posso vivere così. -
La pace
mi invase e mi venne l'idea di scrivere a lei e di chiederle, per l'amore
di Gesù e i dolori di Maria, di permettere a p. Pinho di venire a
riprendere la direzione della mia anima, nei brevi giorni di vita che mi
restano. Molte volte ebbi la stessa idea, ma veniva tosto soffocata dal
timore e da altro che non so e che non mi consentiva di realizzarla. Ma
questa volta è stata salda e durevole. Non sono stata io a sceglierlo [come
direttore]. Da 10 anni ero sola, senza una guida, e molto tribolata tra
quattro mura da 8 anni. Il Signore ebbe compassione di me, lo scelse e
me lo mandò. Fu allora, con i suoi santi consigli, che io conobbi sempre
più il Signore. Da 13 mesi gli fu proibito di venire qui. Solo Gesù sa
quanto mi costò, anche se ho sofferto tutto per amore. Ora però ho
bisogno di chi mi sostenga; non posso più vivere in questo martirio. Se
per qualche istante lei potesse vedere ciò che soffro nel corpo e
nell'anima e quanto ho patito in questo periodo, ho la certezza che
avrebbe compassione di me. Ho avuto la febbre a 40 e più; dolori
orribili agitano e fanno tremare il mio corpo, come tempesta che tutto
vuole distruggere.
Mi sono
vendicata e la mia vendetta continuerà in cielo, nei riguardi di coloro
che furono la causa del mio soffrire. Ma sa come? Pregando e chiedendo
perdono per essi; implorando luce perché vivano la vita intima di Gesù e
non siano di intralcio ad altre anime affamate di Dio e bisognose di
luce e di sostegno di santi direttori.
Lei è mal
disposta verso di me? Non lo sia! So di essere cattiva, la creatura più
miserabile, la figlia più indegna di Gesù, ma per questo motivo la più
degna di compassione. Io, senza la grazia di Dio, mi giudico capace di
fare e di essere tutto quello di cui mi accusano presso di lei; però,
con la grazia e tutta la forza del Signore, sarà riconosciuta la mia
innocenza. Mi permetta, Reverendo Padre Provinciale, di chiederle ancora
una volta per amore di ciò che vi è di più caro in cielo e sulla terra:
lasci venire il mio padre spirituale ad assistere i miei ultimi giorni,
a dare l'ultima luce, gli ultimi consigli a questa poveretta, che spera
in breve di andare in cielo. Confido in Gesù e Mammina che non sarò mai
la vergogna del suo Ordine. Addio, reverendo Padre. Mi perdoni tutto;
nulla faccio col fine di offenderla. Non voglio offendere nessuno e
tanto meno i discepoli di Gesù. Abbia la bontà di perdonarmi.
Arrivederla in cielo. » (lettera al Provinciale dei Gesuiti, 2-2-1943).
Preparazione all'esilio di 40 giorni
... Dopo
la Comunione Gesù mi parlò così: - Eccoti all'ombra della Eucarestia; è
l'alimento che germina le vergini più pure, le più care ed amate dal mio
Cuore divino. Quanto mi devi, figlia mia, e quanto mi deve l'umanità
intera di avere istituito questo sacro Alimento! Come sto bene all'ombra
del tuo cuore! Qui trovo tutta la ricchezza, tutta la purezza, tutto l'amore.
Vi trovo tutto ciò che attendo da un'anima che solo a Me appartiene. Mi
dono a te per amore... (diario, 23-3-1943).
... Il
primo maggio Gesù mi parlò ancora e mi disse: - Figlia mia, quanto è
bella un'anima in grazia! Oh, la bellezza e gli incanti di una sposa di
Gesù! Gesù si è innamorato della sua Alexandrina; l'ha preparata per
farne un suo ricchissimo tabernacolo sulla terra. Rallegrati, mia
piccola innamorata, rallegrati con il tuo Gesù. Il mondo dica e faccia
quello che vuole: Gesù è tuo, tutto tuo; tu sei sua, tutta sua. La
cecità dei miei discepoli e di coloro che si dicono miei amici mi fa più
dispiacere dei delitti dei peccatori. Gesù immola le sue vittime per
salvarli. E coloro che dovrebbero possedere sempre la luce divina non la
vogliono, non la cercano e tentano di buttare a mare le cause più
sublimi e più care a Gesù, ciò che ha preparato di più ricco nel mondo,
di maggiore gloria per Sé e di vantaggio per le anime. Coraggio,
figliolina! Chi ha Gesù non teme. Chi Lo possiede ha tutta la forza.
Coraggio, mia amata! Sono gli ultimi combattimenti... Verrà poi il Cielo.
- (diario, 1-5-1943).
Vinse il
pensiero dell'obbedienza
Per
soddisfare i desideri del signor arcivescovo mi assoggettai ad un altro
consulto medico che avvenne il 27 maggio 1943. Quando mi fu annunciato
[con lettera del dott. Azevedo], una nuova sofferenza si impossessò del
mio spirito. Ma, vedendo in tutto la volontà santissima di Dio,
acconsentii, come sempre, per obbedienza, benché un altro esame medico
mi costasse molto. Saputa la data, chiesi ardentemente alla Mamma del
cielo di darmi la calma per sopportare tutto, con coraggio e
rassegnazione, per Gesù e per le anime. Il giorno fissato venne il dott.
Azevedo con il dott. Gomes de Araújo e con il prof. Carlo Lima'. Io ero
serena e calma: il Signore mi aveva esaudita. Uno dei medici mi domandò
subito se soffrivo molto e a chi offrivo le mie sofferenze, se soffrivo
volentieri e se sarei stata contenta che il Signore, da un momento
all'altro, mi liberasse dai miei dolori. Risposi che in verità soffrivo
assai, che offrivo tutto per amore di Gesù e per la conversione dei
peccatori. Poi mi domandarono quale era la mia più grande aspirazione;
io risposi: - Il cielo! - Allora uno mi chiese se ambivo essere una
santa, come santa Teresa, come santa Chiara ecc. ed arrivare agli altari,
lasciando come loro un grande nome nel mondo. - È ciò che mi interessa
meno - risposi.
Per
togliermi la fiducia in Dio mi fece una proposta: - Se per salvare i
peccatori fosse necessario perder l'anima sua, che farebbe? - Confido
che anche la mia si salverebbe, salvando le altre anime; ma se dovessi
perderla, direi di no al Signore; Egli non chiede certamente una simile
cosa. Anzi, voglio dire che ho promesso al Signore i miei occhi, la cosa
più cara del mio corpo, se ciò fosse necessario per convertire Hitler,
Stalin e tutti gli autori della guerra. - E perché non mangia? - Non
mangio perché non posso; mi sento sazia; non ho necessità; ma sento
nostalgia del cibo. - Dopo questo i medici incominciarono la visita che
sopportai con buona disposizione. Fu una visita rigorosa, ma allo stesso
tempo usarono delicatezza col mio corpo. Alla fine, siccome non ero in
condizione di affrontare un viaggio, decisero di chiamare in casa nostra
due religiose infermiere per accertarsi della veracità del mio digiuno.
Quando i medici se ne furono andati, il Signore mi fece sentire che la
loro decisione non si sarebbe realizzata e rimasi in attesa di notizie
circa le loro intenzioni. Il 4 giugno vennero il dott. Azevedo ed il
confessore p. Alberto a comunicarmi la risoluzione dei medici e a
convincere me e la mia famiglia sulla opportunità di andare al « Rifugio
di paralisi infantile » di Foce. Sarei stata messa in una camera sotto
osservazione durante un mese, per un controllo più diretto di quanto
avveniva in me. Io, lì per lì, risposi di no, ma mi pentii subito,
pensando all'obbedienza dovuta all'arcivescovo e per non creare una
situazione critica al mio direttore, al dott. Azevedo e a tutti coloro
che tanto si interessano di me. Accettai la proposta, ma a queste
condizioni: 1) di potere ricevere Gesù tutti i giorni; 2) di essere
accompagnata sempre da mia sorella; 3) di non essere più sottoposta ad
esami, perché io andavo in osservazione e non per esami. Nei giorni in
cui rimasi ancora in casa chiesi a Gesù e a Mammina di darmi forza e
coraggio per essere io stessa di coraggio ai miei cari i quali erano
desolati. Quante volte durante la notte, col cuore oppresso e le lacrime
negli occhi, chiesi a Gesù di aiutarmi perché mi pareva che tutte le
forze mi abbandonassero e mi vedevo senza coraggio per me, tanto meno
per darne ad altri!
Gesù venne a
confortarmi
« Il 27
maggio Gesù mi aveva detto: - Figlia mia, non temere. Non hai motivo di
temere. Hai in te la Forza che è del cielo e della terra. La Carne ed il
Sangue di Gesù sono il tuo alimento. Imprimi nel tuo cuore la mia divina
immagine e nei momenti di afflizione guardala e contemplami crocifisso.
Verrà il coraggio. Vi è un'onda di delitti che si propaga nel mondo:
abbi compassione del mio dolore, ripara per i peccatori. Abbi coraggio!
La mia divina Volontà si compirà. - Il 5 giugno Gesù mi disse ancora: -
L'anima fedele non teme la croce; la prende, l'abbraccia, l'accarezza,
la porta per amore. Le spine con cui Gesù adorna le sue crocifisse sulla
terra si trasformeranno in cielo in petali delle rose più belle. ... Di'
a tua sorella che ti accompagna nei tuoi dolori, di' a tutti coloro che
ti aiutano a salire il tuo doloroso calvario, che saranno per loro le
prime benedizioni, le prime grazie » (diario).
Alla
vigilia [9 giugno] dopo aver offerto al Signore il sacrificio della mia
partenza, senza una luce, in uno sfogo profondo dissi: - O mio Gesù,
voglio fare soltanto la tua santissima Volontà! - Lo udii subito nella
sua infinita bontà: - Coraggio, figlia mia... È per la mia causa, è per
le pecorelle amate dal mio Cuore divino. -
In esilio
Giunse il
10 giugno e tutto era pronto per il viaggio all'ospedale di Foce del
Duro. L'amarezza che si impossessò di me era enorme, ma allo stesso
tempo mi venne un tale coraggio che potevo nascondere ciò che sentivo
nell'anima. Deponevo tutta la mia fiducia in Gesù ed ero tanto convinta
del suo divino aiuto da pensare che, se fosse stato necessario, Egli
avrebbe mandato i suoi angeli ad aiutarmi nell'esilio in cui mi volevano
gli uomini. Quando giunse il medico [Azevedo] per prelevarmi, non ebbe
il coraggio di dirmi che bisognava partire; fui io ad intervenire: -
Andiamo, signor dottore, chi non parte, non ritorna! - Ci fu il commiato.
Soltanto Gesù sa quanto mi costò la separazione dai miei cari che mi
abbracciarono e baciarono pieni di dolore. Io guardavo solo il Cuore di
Gesù e la cara Mammina per chiedere forza. Scendendo le scale in lettiga
dissi a tutti per rianimarli: - Coraggio! Sia tutto per Gesù e per le
anime! - Ma non ho potuto dire altro per l'oppressione del cuore e per
potere contenere le lacrime. Era quanto volevo per non aumentare il loro
dolore. Appena fui sull'autolettiga, attorniata da oltre 100 persone,
vidi le lacrime sul volto di quasi tutti e udii i singhiozzi di mia
madre e di altri parenti. E indicibile il dolore che provai. Ero ansiosa
di partire e partire in fretta. Il mio cuore pulsava con tanta violenza
che pareva staccarmi le costole. Dissi allora a Gesù: - Accetta tutte le
pulsazioni mie come atti di amore e per la salvezza delle anime. -
Il
viaggio fu difficile. Mi sembrava che il cuore non reggesse. Ogni tanto
guardavo mia sorella; era tanto desolata! Il medico diceva che non
costava viaggiare con ammalati come me perché mi vedeva sempre con il
sorriso sulle labbra. Ma Gesù sa l'amarezza del mio cuore e le torture
del mio povero corpo. Con le scosse dell'autolettiga mi sentivo depressa,
ma ripetevo sovente: - Tutto per Tuo amore, Gesù! E che il buio della
mia anima serva a dar luce alle anime! - Presso le ultime case di
Balasar il signor Sampaio alzò le tendine dell'autolettiga. Notai che il
medico aveva le lacrime agli occhi e disse: - Carini! - Gli domandai che
cosa avveniva. Mi spiegò che lungo la strada alcuni fanciulli lanciavano
fiori verso di noi. Mi sentii intenerita e a stento trattenni le lacrime
che forzavano per uscire. Quando giungemmo a Matozinhos il medico alzò
le tendine perché vedessi il mare. Un enorme silenzio mi dominò ed
osservando il movimento continuo delle onde sulla spiaggia chiesi a Gesù
che anche il mio amore fosse continuo e duraturo. Giunti al « Rifugio »
il dott. Gomes de Araújo non consentì che l'autolettiga arrivasse fino
alla porta. Incaricò alcuni uomini di prender la mia barella e di
portarmi così, dopo avermi coperto il viso perché nessuno mi vedesse. Il
mio cuore si rattristò ancor più presentendo cosa sarebbero stati quei
lunghi giorni in tale casa. Così coperta mi pareva di esser in una cassa
e domandavo a me stessa: - Che delitto ho mai commesso? - La salita
delle scale del « Rifugio » mi causò un martirio perché mi portarono con
la testa all'ingiù. Mi scoprirono il volto soltanto in camera dove mi
vidi attorniata dal dott. Araújo e da alcune signore che sarebbero state
le mie assistenti. Mi collocarono poi nel mio letto. A mia sorella
avevano destinato un'altra camera, contrariamente a quanto avevo
richiesto. Fu uno dei maggiori sacrifici che potevano esigere da noi:
come avrei potuto stare senza di lei, che sapeva come muovermi quando
era necessario ed aiutarmi con buone parole che mi servivano tanto a
sopportare il doloroso calvario? Mi avevano appena adagiata sul letto
che Deolinda si presentò sulla porta con la valigia della biancheria. Il
dott. Araújo, vedendola, urlò come un forsennato: - Fuori quella valigia!
- Fu altra spina fra le tante. Quindi iniziò a dare ordini: - Le
assistenti, le assistenti! L'inferma può dir ciò che vuole ma voi non
siete autorizzate ad interrogarla. -
Dati
questi ordini si ritirò e rimasero il mio medico [Azevedo] e due signore;
queste si sarebbero trattenute presso di me permanentemente per vigilare
tutti i miei movimenti.
Quando,
ormai notte, il dott. Azevedo stava per allontanarsi, non potei più
trattenere le lacrime. Egli allora, più che con rispetto, con vera
tenerezza per il mio dolore, mi disse: - Si faccia coraggio! Domani
ritornerò. - Ho pianto sì, con vero dispiacere, ma ho offerto quelle
lacrime tanto amare al mio caro Gesù. Nel vedermi così desolata fu
concesso che per quella notte mia sorella rimanesse in camera mia con
una delle signore, affinché le insegnasse il modo di voltarmi. Ma si
precisò subito: - Solo per questa notte, poi mai più! -
Sotto la
vigilanza più rigorosa
Il giorno
seguente, venerdì, cominciò per me in quella casa il vero calvario.
All'ora dell'estasi, come avviene tutti i venerdì, entrò mia sorella,
presenti già il medico Azevedo, il signor Sampaio e un'infermiera
assistente. Agli osservatori sopraggiunti non sfuggì nessun particolare
e tutto fu divulgato e commentato; per es. che il signor Sampaio aveva
estratto dalla tasca l'orologio, che mia sorella si era inginocchiata
nell'udire le parole dell'estasi, che una infermiera aveva pianto, ecc.
Il dott. Azevedo, come sempre, scrisse il colloquio dell'estasi per
consegnarlo ai medici.
Deolinda,
che aveva l'ordine di non rimanere in camera mia, era amareggiata e
disse: - Non potrò vedere mia sorella nemmeno dalla porta della camera?
Forse che il mio sguardo la può alimentare? - Inclinata sul mio letto
piangeva inconsolabile. Fu allora che le dissi: - Non affliggerti, c'è
con noi il Signore. - L'assistente che aveva pianto durante l'estasi,
toccandola sulle spalle, esclamò: - Non pianga. II dott. Araújo è un
uomo di molta carità! - Bastò questa espressione a mia sorella perché
quell'assistente fosse dimessa dalla vigilanza; ricomparve solo negli
ultimi giorni, ma accompagnata, quando ormai vi erano già le prove della
verità. Questo avvenne per causa di una assistente che fu il mio
carnefice durante tutta la mia permanenza al « Rifugio ». Ella non
immagina neppure quanto mi ha fatto soffrire. Che il Signore la perdoni!
Nella notte dal venerdì al sabato ebbi una delle tremende crisi di
vomito che mi fanno soffrire tanto. Mi costò più che mai l'assenza di
una persona che mi sostenesse. Sabato venne di nuovo il dott. Araújo per
vedere come stavo e per sapere ciò che era avvenuto. La mia prostrazione
era tale che non mi accorsi quando bussò alla porta, sempre chiusa a
chiave; l'udii soltanto quando, vicino al mio letto, susurrava
all'infermiera: - È spacciata! È spacciata! - A quelle parole apersi gli
occhi e gli dissi: - Signor dottore, anche a casa mia avevo di queste
crisi. - Rispose prontamente e imperioso: - Signorina, non pensi di
essere venuta qui per digiunare! - Capii cosa intendeva dire e mi sentii
profondamente ferita.
Informato
di ciò che era avvenuto il venerdì, volle leggere lo scritto dell'estasi
e commentò furioso: - Sembra impossibile che il dott. Azevedo, tanto
intelligente, si lasci sedurre da queste cose! Bisogna farla finita
anche con questo. Intanto scompaiano di qui tutti gli orologi, affinché
questa ammalata ignori le ore. - (Quasi che il Signore avesse bisogno di
orologi!). Vedendomi in quella prostrazione avrebbe voluto soccorrermi
con medicine, ma io non acconsentii. Quante volte le infermiere mi si
avvicinarono, convinte che ero morta! Passarono cinque giorni di
continua agonia, più nell'anima che nel corpo, perché in quelle crisi
non permisero mai che Deolinda mi venisse vicina, mentre in casa tante
volte erano necessarie due persone per sostenermi. Erano tutti persuasi
che la crisi fosse dovuta a mancanza di alimentazione e che, così
isolata e senza chi me la potesse dare, io avrei sentito la necessità di
chiederla o sarei morta. Come si ingannavano! Non sapevano che l'alimento
mi veniva dall'Ostia santa che ricevevo ogni giorno!
Il dott.
Azevedo venne a trovarmi in quei giorni e fu informato di tutto da mia
sorella, fuori della mia camera. Giunto presso il mio letto, senza che
mi fossi accorta, l'infermiera gli suggerì che io avevo bisogno di
medicine. Fu allora che io apersi gli occhi e udii che le rispondeva: -
Questa ammalata è venuta per la costatazione del digiuno e nulla più.
Credo che il dott. Araújo stia alle condizioni. Non permetto che le si
facciano iniezioni o altro, a meno che ella non lo chieda. Vedranno che
la crisi passerà, spariranno le occhiaie, ritornerà il colorito e il
polso diventerà normale, o quasi normale perché non favorito dal clima
marino. Le assicuro una cosa, mia signora: lei morirà, io morirò, ma l'ammalata
non morirà in questo ospedale. - Quindi, seduto vicino a me, mi diede un
po' del conforto di cui avevo bisogno.
Per
volontà di Dio, dopo cinque giorni, il vomito passò, ritornò il colorito
normale insieme alla luminosità degli occhi. Durante la successiva
visita del mio medico [Azevedo] la signora assistente uscì con questa
frase: - Guardi, signor dottore, guardi che volto! - Ed egli
delicatamente ma con fermezza: - Sono state le cotolette e le iniezioni!
- Gesù ha voluto mostrare ancora una volta il suo potere in questa umile
creatura. Tutte le assistenti eseguirono scrupolosamente l'ordine del
dott. Araújo e non mi abbandonarono un momento. Aprivano la porta della
camera soltanto per lasciare entrare i medici e le infermiere.
Nonostante la mia trasformazione, né il dott. Araújo né le infermiere si
volevano convincere che io potessi vivere senza alimentazione. Infatti
usavano talvolta argomenti per impaurirmi: passavano poi a frasi di
tenerezza e di interessamento per la mia persona. Nei loro discorsi li
ho sentiti dire che il mio caso era forse dovuto ad isterismo e a
qualche fenomeno inspiegabile. Un giorno dissi al dott. Azevedo quanto
avevo nell'anima tanto amareggiata e cioè che per curare l'isterismo non
c'era bisogno di rimanere in quell'ospedale. Ma lui mi incoraggiò e mi
infuse fiducia. Gli ho ubbidito per fare in tutto la volontà di Dio.
A tu per tu col
medico
Il dott.
Araújo veniva a vedermi due o tre volte al giorno, ma sempre in ore
diverse. Penso lo facesse per vedere se scopriva qualcosa. Talvolta
entrò in camera mia di notte, quando vi si trovava l'assistente che da
qualcuno fu definita « cardinale diavolo ».
Vivessi
fino alla fine del mondo, non potrò dimenticare l'impressione che
provavo quando il dottore apriva e poi richiudeva subito la porta:
rimanevo sospesa per ciò che avrebbe detto. Provavo una tale impressione
che nel mio cuore e nella mia anima aumentava la tristezza. Quante volte
ripetevo a Gesù: - Questa mia notte serva a dare luce a lui, a coloro
che mi attorniano e a tutte le anime che vivono nelle tenebre. -
Nelle
conversazioni e negli interrogatori il dott. Araújo usò tutti gli
argomenti possibili per convincermi a mangiare, dicendomi che Dio non
era contento del mio digiuno. Arrivò ad insinuarmi scrupoli. Per di più
le infermiere tentarono di prendermi dalla parte del cuore. Una volta il
dottor Araújo volle perfino provare se riusciva a togliermi la fede. Si
servì di quanto di meglio aveva la sua intelligenza mediante
interrogatori interminabili e torturanti per scoraggiarmi, persuaso che
quanto avveniva in me era dovuto ad influenza umana, non divina. Se ogni
volta che ero interrogata avevo l'impressione di trovarmi davanti ad un
lupo con pelle di agnello, in quel giorno fu assai peggio: mi parve di
vedere in lui lo stesso satana che, con arte e sorrisi maligni, volesse
strapparmi la fede e convincermi che tutto era illusione. Mi diceva: -
Si convinca, signorina, che Dio non vuole che lei soffra! Se vuol
salvare gli altri, li salvi Lui, se ne ha il potere! Se è vero che Dio
ricompensa coloro che soffrono, non ha più ricompensa adeguata per lei
che ha già sofferto troppo. - Ma, mio Dio [dicevo tra me], io so che Tu
sei infinito, infinito nella potenza, infinito nei premi. Se fosse come
dice lui, per chi soffro io? Il dott. Araújo accompagnava le sue parole
con uno sguardo malizioso, demoniaco (così mi pareva). Io allora risposi:
- Sono tanto, tanto grandi le cose di Dio! E noi siamo tanto, tanto
piccoli, almeno io! -
Non fiatò
per un istante e poi, indignato, esclamò: - Ha ragione; ma io sono una
persona ben più grande! - E se ne uscì. Era ben lungi dal conoscere
questa legge di amore per le anime! Se sapesse il valore di un'anima,
oh, allora vedrebbe che non è mai troppo quello che facciamo per
salvarle! Piovevano costantemente umiliazioni e sacrifici. Se io almeno
avessi saputo soffrire bene, avrei avuto tanto da offrire a Gesù. Mi si
presentavano sempre nuove cose che umiliavano e richiedevano sacrifici.
Avevo ai
piedi del letto una foto di Giacinta di Fatima. La guardavo con amore e,
senza alcun timore che le assistenti lo riferissero al dottore,
sospiravo: - Cara Giacinta, anche se piccola, hai provato cosa costano
queste cose! Dal cielo ove sei, aiutami! Solo l'aiuto del Cielo e le
preghiere delle anime buone potranno darmi forza per salire un così
doloroso calvario e sopportare il peso di questa pesantissima croce. -
Ogni
volta che il dott. Araújo entrava mi faceva le stesse domande e mi
lasciava spaventatissima quando mi diceva: - Dobbiamo parlarci a lungo.
-
Quando lo
vedevo uscire, respiravo profondamente e mi dicevo: - Benedetto sia il
Signore, che te ne vai! - Ma il pensiero che sarebbe ritornato presto mi
dava una sofferenza molto amara. Un giorno, seduto alla mia destra,
cercò di convincermi che ero una illusa. Incominciò con un discorso
molto vago sulla medicina e su di un suo professore di Oporto, al quale
aveva presentato un lavoro di molte pagine elaborate dopo giorni e notti
di studio. Era convinto di aver approfittato bene delle lezioni avute.
Il professore, letto il lavoro, gli domandò: - P - sicuro di ciò che ha
scritto? -
- Sì,
sono sicuro, per questo e quest'altro motivo. - La conversazione si
protraeva ed io fissavo il dottore fingendo di non comprendere le sue
intenzioni e dicevo fra me: - Vai così lontano per cadere tanto vicino!
- Intanto il dottore proseguiva: - Ero convinto di aver fatto un bel
lavoro; il professore mi lasciò parlare e poi mi dimostrò che mi ero
proprio sbagliato. Rimasi senza respiro: mio Dio, tante ore perdute!
Tante ore di illusione! Il mio lungo studio era crollato in pochi
istanti. – Io che, da parecchio tempo, vedevo dove il dottore voleva
arrivare, sorrisi e dissi: - Ma il mio caso non crolla, signor dottore!
Mi ha guidata un direttore molto santo e molto saggio e mi ha studiata
per vari anni. Se l'opera è di Dio, nulla la può far crollare! - Il
dottore, un po' impacciato, fingendo che non era quella il significato
delle sue parole, concluse: - Ah, no!... - Si alzò e in fretta se ne
andò. Era tempo! Intanto mi confidavo solo con Gesù, l'unico con cui lo,
potevo fare e gli offrivo le mie lacrime, che cercavo di nascondere
all'assistente. Cantavo lodi a Gesù e a Mammina, fingendomi colma di
gioia. Cantavo con il maggiore entusiasmo, ma dentro di me ed ai miei
propri occhi pareva non vi fosse né sole né giorno. Di notte alcune
volte mi domandavo: - Cosa starà facendo: ora mia sorella? Starà
piangendo? - Pensando che ella stava soffrendo per causa mia, una volta
non ho potuto trattenere le lacrime. Quanto piansi! Avevo solo paura di
disgustare Gesù, ma Egli sapeva che accettavo tutto per suo amore, con
il desiderio immenso di dargli tutte le anime. Infatti gli offersi anche
le lacrime come atti d'amore per i tabernacoli.
« Quanto
maggiore è l'amarezza, tanto maggiore è l'amore »: - non è così, mio
Gesù? Accetta tutto. - Il sedicesimo ed il trentesimo giorno della mia
permanenza ebbi la visita della mamma. Sentivo tanta nostalgia di lei!
Poté stare poco tempo vicino a me e sempre sotto lo sguardo indagatore
delle spie. Ella piangeva e io fingevo di non avere cuore: le sorridevo,
scherzavo, l'accarezzavo e, con il mio sorriso ingannatore, nascondevo
l'amarezza dell'anima, bloccando le lacrime che volevano cadermi sul
volto. L'ho incoraggiata, sfogandomi intimamente con il mio Gesù. Era la
mia croce: non dovevo portarla per amore di Colui che era morto per me?
Non più
trenta ma quaranta giorni
Passavano
così, in una lotta continua, i miei giorni, contraddistinti solo per l'avvicendarsi
delle infermiere che si succedevano secondo la volontà del dottor Araújo;
per causa di alcune ho sofferto immensamente perché oltrepassavano i
limiti dei loro diritti e dei loro doveri. Giunsero i giorni in cui il
dottore, convinto ormai della verità, promise maggior distensione,
permettendo di lasciarmi per qualche tempo la sorella, presente sempre
l'infermiera. Concesse anche alle Suore Francescane del « Rifugio » di
farmi una brevissima visita. Avevamo già progettato di comunicare a casa
la data del nostro ritorno, quando inaspettatamente sorse un
contrattempo. Una delle infermiere aveva informato del mio caso il dott.
Alvaro. Questi, non conoscendo me né i miei fenomeni, fece nascere dubbi.
Incominciò ad affermare che sono cose impossibili, che le assistenti si
sono lasciate ingannare e che crederebbe soltanto mandando un'infermiera
di sua fiducia. Il dott. Araújo, indignato per la diffidenza circa la
sorveglianza fatta da lui, gli impose di mandare egli stesso la persona
che giudicasse più idonea: fu scelta una sorella dello stesso dott.
Alvaro. Quando noi pensavamo di vederci alleggerite dal nostro dolore,
ci è stata chiesta una nuova prova quanto mai triste e dolorosa. Il dott.
Araújo venne a convincermi che era conveniente rimanere ancora dieci
giorni. Anche se lui era certo della verità, conveniva convincere l'altro
suo collega. Mia sorella non era d'accordo, ma io risposi: - Chi è stato
30, può stare 40. -
Il dott.
Alvaro, veramente, non esigeva 10 giorni. Per convincersi gli bastava
che io stessi 48 ore senza mangiare né evacuare. Ma fu il dott. Araújo
che, delicatamente, per l'onore del suo nome, invitò la signora
assistente a rimanere un giorno di più e poi un altro. Questo ultimo
periodo fu un nuovo calvario che io offersi a Gesù e a Mammina: dura
prova, mio Dio! [In uno di questi giorni] il dott. Araújo, senza
spiegazioni, prese la borsa di gomma che avevo sullo stomaco e un fiasco
d'acqua che le assistenti conservavano per bagnare il fazzoletto che
tenevo sulla fronte e vi infuse in entrambe non so che cosa: se avessi
succhiato il fazzoletto o bevuto dalla borsa, come disse poi il dott.
Alvaro, avrei avuto dei disturbi che loro, sapevano. Ordinò poi alle
assistenti di non cambiarmi il ghiaccio della borsa anche se lo
chiedessi io. Sono stata agli ordini, anche se la signora nuova
assistente tentò più volte di cambiare il ghiaccio. Sono stata io a
dirle: - Mi tolga la borsa soltanto per lasciarla rinfrescare un po' e
poi me la dia. Bisogna obbedire agli ordini del medico. - Si ritornò al
rigore di prima, anzi più stretto. Si proibì perfino che mi si parlasse
di Gesù, pensando forse che in quel modo si potesse strappare ciò che è
in noi! Un giorno il dottore mi disse: - Non consento che chiami sua
sorella se non una volta per notte. - La signora assistente, parecchie
volte, quasi a tentarmi con una attenzione bugiarda (non voglio dire che
fosse falsa; era solo l'impressione che mi lasciava), mi diceva: -
Povera santa, sempre in quella posizione! Io chiamo sua sorella! - Al
che rispondevo: - Molto grata, mia signora, ma non voglio. Sono ordini
del medico: mia sorella deve venire una sola volta! - Quando mia sorella
bussava per entrare, quell'unica volta concessa dal dottore, per
cambiarmi di posizione, la nuova assistente accendeva la luce, apriva la
porta, si poneva di fianco a mia sorella. Appena questa usciva, fingendo
compassione per il freddo che avevo potuto buscarmi, e come per voler
accomodar meglio lenzuola e coperte, mi scopriva completamente per
vedere se Deolinda mi avesse lasciato qualcosa nel letto. lo comprendevo
benissimo l'intenzione, ma, fingendomi sempliciona, alzavo le braccia al
di sopra dei cuscini affinché potesse ispezionare meglio. - Mio Gesù,
tutto e solo per Te! - Né mancarono le seduzioni per farmi prendere
qualcosa delle sue refezioni. Se mi allungava qualche boccone senza
parlare, io le sorridevo. Se l'invito era a parole, le dicevo: - Grazie
- ma sempre sorridendo, mostrando di non cogliere la sua malizia.
Principalmente di notte, quando più sentivo la solitudine, il tempo mi
pareva eterno. Sentivo il mio cuore, come fosse un albero dalle folte
radici, che avesse le sue vene lungo il pavimento e le pareti e che la
furia di una grande tempesta strappava buttandomi a terra...; mi pareva
che tutto e tutti mi calpestassero. Dicendo così, sento di non dire
nulla in confronto di quanto ho sofferto. Ancora oggi rivivo nella mia
memoria queste cose e provo un vero tormento. Solo l'amore per Gesù e le
anime può far superare queste prove! Sentendo avvicinarsi il dottore,
dicevo tra me: - Arriva l'aguzzino a visitare la povera carcerata per
amore di Gesù e delle anime. Non ho offeso nessuno se non Te, mio Gesù;
ma gli uomini vogliono, senza pensarlo, che in questo modo io paghi le
mie ingratitudini. - Vedendo mia sorella spaventata per aver sentito
dire che il mio avvelenamento era sicuro perché non evacuavo cercavo di
farle coraggio. Poveri uomini! Gesù sa fare le cose molto meglio di loro!
Finalmente libera! (20 luglio 1943)
La
vigilia della partenza fu giornata di visite. Passarono vicino a me
tutti i fanciulli del « Rifugio ». Pregai con loro e distribuii
caramelle. Mia sorella non pareva più la stessa: fu notato da tutti.
Oltre mille e cinquecento persone vennero a visitarmi... Dovettero
intervenire i carabinieri per mantener l'ordine. Uno di questi si limitò
a stare vicino a me, accontentandosi di dire per tutto il tempo: -
Avanti! Passate avanti! - Che impressione, quel movimento di folla!
Neppure le suppliche di mia sorella valsero a farlo cessare; neppure i
carabinieri. Lo stesso dott. Araújo dovette affacciarsi alla finestra
per dire che si doveva sospendere quel movimento per non uccidermi. Io,
in effetti, mi sentivo umiliata, depressa e stanchissima, con un senso
di disagio per i baci ricevuti e le lacrime che mi lasciavano sul volto,
in segno di una stima che non merito e non voglio.
Rimasta
sola, chiesi per prima cosa a mia sorella che mi lavasse. Nella
mattinata del giorno della nostra partenza il dott. Araújo, che non
aveva dormito quasi nulla per la responsabilità, venne al « Rifugio »
ove molta gente attendeva per potermi vedere. Rimase un po' vicino a me
e permise l'entrata di alcune persone. Poi ci disse che eravamo libere,
che l'osservazione era finita; concesse a mia sorella di mangiare in
camera mia e aggiunse: - A ottobre verrò a visitarvi a Balasar, non più
come medico-spia, ma come amico che vi stima. - Baciai riconoscente la
mano del dottore e lo ringraziai per il suo interessamento; lo feci con
sincerità perché, anche se fu severo ed aspro, dimostrò la serietà
necessaria al mio caso. Nel pomeriggio di quel giorno 20 vennero a
salutarmi le religiose e le assistenti. Tutte le assistenti mi offrirono
doni. Alcune di esse vennero ad assistere alla mia partenza; ero già
sistemata in autolettiga e una di esse mi spruzzò del profumo; avevo con
me un mazzo di garofani, offerti da una signora. Nel corso del viaggio
mi offrirono alcuni mazzi di fiori. Io accettai per delicatezza, ben
lontana dal pensare che sarebbero poi stati di appiglio a qualcuno per
farmi soffrire Penso che chi mi offerse i fiori sapesse quanto li amo,
amando Colui che li ha creati. Né il profumo, né i fiori, né la
moltitudine del popolo che attorniava l'autolettiga furono motivo della
più piccola vanità per me. Quando durante il viaggio ci fermavamo per
riposare e io vedevo molta gente avvicinarsi con ammirazione a me,
dicevo al medico Azevedo: - Non fermiamoci! Signor dottore, andiamo
avanti. - Sarò stata forse indelicata, ma egli fu tanto paziente. Io
vivevo più dentro di me che fuori. Il mare e tutto ciò che si presentava
ai miei occhi mi invitavano al silenzio, al raccoglimento in Dio. Quando
mi trovai nella mia cameretta mi parve di sognare. Piansi, ma furono
lacrime di gioia.
Ritorno alla mia
cameretta
Posta nel
mio letto, per molto tempo non permisi che mi toccassero; mi sfuggivano
continui gemiti per ì dolori quanto mai forti: fu effetto del viaggio.
Per chi mi sono sacrificata? Per vanità forse? Povero mondo! Vanità?
Perché? Che cosa siamo noi senza Dio? Chi potrebbe soffrire tanto per
una grandezza terrena o per vanità del mondo? Quaranta giorni
all'ospedale! Quante umiliazioni! Aveva ragìone il dott. Azevedo quando,
collocandomi durante il viaggio di andata un fazzoletto bagnato sulla
fronte, mi diceva: - Ha qualche capello bianco, ma al suo ritorno ne
avrà molti dì pìù! - Avvenne proprio così: egli prevedeva quanto mi
aspettava. Però è molto bello affrontare tutto per Gesù, per suo amore.
« ... Fu duro il tuo penare, figliolina, fu duro il penare di tua
sorellina in quella prigione ["Rifugio»]. Avanti! Fu per Gesù, fu per la
salvezza di migliaia e migliaia di peccatori. Che trionfo per il Cuore
di Gesù! Eccolo esaltato, eccolo glorificato nei suoi cari umiliati...
Basta! Ora non uscirai più dalla tua cameretta... Di', figlía mia, di'
al tuo caro padre spirituale, di' al tuo medico che per tutte le loro
umiliazionì saranno esaltati. Gesù è loro riconoscente per il trionfo
della sua causa Gli uomini tentarono di farla cadere, ma Gesù vigilò e i
suoi cari cooperarono. Tutto ciò che è di Gesù non cade: sta saldo in
mezzo a tutte le tempeste, brilla, trionfa... -
- O mio
Gesù. Superai la prova per tua gloria e per salvare anime. Voglio essere
sempre piccola agli occhi del mondo ma grande nell'amore, grande nel
poter salvarti anime... - » (diario, 7-8-1943).
« ... Ho
dettato come meglio ho potuto le grandi sofferenze vissute al "Rifugio",
ma quello che riesco a dire è nulla al confronto di quello che ho
sentito. Ho saputo sentire, ma mi so spiegare male. Sono però contenta
di avere obbedito. Gesù è degno di tutto, non è vero? Il mio corpo ha
subito una grande scossa; ancora oggi i dolori sono quasi insopportabili
e sovente mi pare di venir meno. Ma nei momenti di tanto dolore,
fissando il Cuore di Gesù, gli dico con tutto il fervore: - Cuore
sacratissimo di Gesù, confido in Te, confido! » (lettera a p. Pinho,
27-91943).
Apprensioni per la guerra e lettera al Papa
Quando mi
parlavano di guerra e del pericolo in cui si trovava il Portogallo, io
sorridevo, mentre il mio cuore raddoppiava la fiducia dicendo a Gesù: -
Confido in Te! - A chi mi esponeva preoccupazione rispondevo: - Non sarà
così; il Signore è misericordia infinita... - Sovente le conversazioni
sulla guerra mi facevano soffrire perché in contrasto con quanto udivo
dal Signore il quale molte volte mi ripeteva: - Confida, confida, figlia
mia! - Ero spesso tentata a ritenere che tali parole provenissero dal
demonio, ma gli effetti che sentivo nella mia anima erano diversi:
infatti nell'udire « Confida, figlia mia! » sentivo molta pace e una
forza capace di vincere la guerra. Mi giunse perfino alle orecchie che
il Santo Padre era stato fatto prigioniero, ma io non vi credetti,
considerando tale notizia confusione del popolo... Sentii tuttavia nella
mia anima un lutto come quando muore un padre di famiglia e lascia i
suoi figli orfani. Passarono tanti giorni e in questa lotta continua non
mi stancavo di offrire a Gesù tutte le mie sofferenze per la pace.
Volevo alleggerire, confortare, liberare il Papa da ogni sua sofferenza
e non sapevo come Un giorno, dopo la Comunione, sentii un grande
desiderio di scrivere al Papa. Non potendo contenerlo, dissi a mia
sorella: - Voglio scrivere al Papa: dammi penna e carta. - Mi posi
senz'altro al lavoro, chiedendo al Signore luce e forza ed unendovi il
sacrificio dello scrivere.
«
Beatissimo Padre, so che in queste ore tragiche per l'umanità il cuore
che più soffre, dopo quello di Gesù, è quello di vostra Santità. Gesù
soffre perché è offeso e vostra Santità soffre nel vedere il mondo in
guerra, nell'odio, nei crimini.
Oh,
quanto soffre anche il cuore della più povera, della più miserabile e
indegna delle vostre figlie, per non poter difendere il Cuore di Gesù
dai delitti della umanità ed impedire che sia ferito e per non potere
alleggerire Voi dal dolore tanto crudele e profondo che schiaccia e
trapassa il cuore del Padre mio e di tutto il mondo!
Oh, mio
caro Padre, io non valgo nulla, non posso nulla, sono povertà e miseria,
ma Gesù può farmi forte e potente; ed è con Gesù e la Mamma del cielo
che mi sento al fianco di vostra Santità per aiutarvi, con le mie
sofferenze, a portare così pesante croce.
Vorrei
baciare la terra ove vostra Santità posa i suoi piedi; vorrei andare
bocconi ovunque potreste essere costretto a passare: e ciò come prova
del mio dolore nel vedervi soffrire e del mio profondo rispetto per voi.
Coraggio, coraggio, santissimo Padre, Gesù non viene meno: la forza
viene dall'alto, la guerra termina; la pace regnerà tra gli uomini, ma
sempre nel dolore e sacrificio; il regno di vostra Santità continuerà
sempre tra le spine, ma Gesù non vi mancherà mai con la sua Grazia e il
suo Amore affinché Voi possiate salire sereno il vostro così doloroso
calvario. Fu Lui a scegliere così amabile figlio quale padre di tutti
noi, per spargere la luce santa del Divino Spirito.
È triste
il vostro regno sulla terra per la malizia degli uomini, ma sarà lieto e
glorioso il cielo, quale premio di tanto dolore e di tanto amore per
Gesù.
Beatissimo Padre, sono una vostra figlia, ammalata da 26 anni e
paralitica da quasi 19. Questa mia lettera mi costa un enorme sacrificio,
poiché sono stesa in un letto, con il mio povero corpo trapassato da
acutissimi dolori; ma è una prova di amore, di santo amore verso il mio
caro santo Padre. Ah, mio Padre, se mi fosse possibile dire quanto
soffro nel corpo e nell'anima! Quanto triste e dolorosa è stata la mia
vita! Si allieta solo quando fisso gli occhi in Gesù. Padre, Padre mio,
datemi la vostra apostolica benedizione per rendere più sopportabile il
mio dolore e perdonate il mio ardire.
Non
chiesi consiglio a nessuno perché da due anni non ho direttore: comanda
chi può, obbedisce chi deve. La benedizione, la benedizione, mio Padre,
ed il perdono per il mio mal scritto, ma non so scrivere meglio. Non vi
dimenticherò mai sulla terra, meno ancora in cielo. Non so trovare
parole adatte per il mio caro Santo Padre: perdono, perdono! Sono la
povera Alexandrina Maria da Costa » (11-10-1943). Una volta scritta [la
lettera al Papa], rimasi più sollevata; arrivai perfino a sentire
contentezza, ma durò poco. Il giorno dopo d'averla spedita, nel
raccoglimento successivo alla Comunione, provai una enorme sofferenza
per il Santo Padre. Ero molto preoccupata per le manovre militari, e,
nonostante la mia fiducia, soffrivo per quanto udivo. Senza pensare di
avere una risposta, dicevo a Gesù: - O mio Gesù, salva il santo Padre,
da' la pace al mondo intero. - E il Signore mi rispose: - Sì, figlia mia,
do la pace tra poco. Gesù non ti inganna. - Ed io continuai: - O mio
Gesù, risparmia il Portogallo dalla guerra. Non lo meritiamo, ma abbi
compassione di noi. Risparmia il Portogallo! -
- Sì,
figlia mia! Il Portogallo è risparmiato! Non entra in guerra -. Non ho
forse la crocifissa di questo Calvario a fianco della mia Madre
benedetta a sostenere il braccio dell'eterno Padre? - Circa un'ora dopo
sentii dire che saremmo caduti in mano dei Francesi e che avevano ucciso
il Papa. Ebbi l'impressione che mi si spezzasse il cuore: stentavo a
respirare; non potevo né parlare né pregare. Con gli occhi nel Cuore di
Gesù dicevo mentalmente: - Aiutami, Gesù! Mammina, aiutami! Non
lasciatemi vacillare! -
Offrivo a
Gesù tutta la mia sofferenza affinché il santo Padre fosse liberato,
persuasa che non era morto e che non era vero quanto si diceva del
Portogallo.
Fu un
giorno di lotta tremenda. Chiedevo al Signore di mandarmi qualcuno che
mi potesse confortare, perché non volevo offenderlo con il mio
scoraggiamento. Passarono ore di tremenda agonia. Mi sentivo in mezzo ad
una terribile tempesta che tutto distruggeva, senza nessuno che mi
venisse in aiuto. Tenevo l'animo fisso in Gesù ed in Mammina, chiedendo
tutto l'aiuto del Cielo. Gesù venne a confortarmi: - Il Santo Padre non
è morto; vive e continua la sua missione. - Mi ripeté più volte
nell'intimo del cuore: - Confida! Confida! Gesù non ti inganna! - Ma il
demonio, non soddisfatto della mia sofferenza e rabbioso per la
inutilità dei suoi sforzi, mi ripeteva frequentemente: - Portogallo in
guerra! Portogallo nel sangue! - Era tale la sua rabbia che mi
intimoriva.
Mi pareva
di udire suono di campane a morto per il santo Padre, rumore e frastuono
di artiglieria in Portogallo. Tuttavia mi mantenni fiduciosa in Gesù.
Tutto questo avvenne il 14 ottobre del 1943 e già il 10 dello stesso
mese il Signore mi aveva detto più o meno la stessa cosa... Maledetto il
demonio che tentava togliermi la pace e farmi perdere la fiducia in
Colui che non inganna né può essere ingannato! Venne il mio confessore:
fece di tutto per tranquillizzarmi e ci riuscì con la confessione. In
seguito continuai sempre a pregare per il santo Padre, ma la sofferenza
che sentivo per lui andò diminuendo di giorno in giorno.
Non
erano fiamme di fuoco della terra
Il giorno di Cristo Re [31-10-1943] sentii come se
morissero il mio corpo ed il mio spirito, quasi cessasse la mia
esistenza nel mondo. Non posso dire il dolore che mi causò. Anzi, ancora
più: mi sentivo nel purgatorio! Che dolore, mio Dio! Da giorni mi
sentivo attraversata da fiamme. Pensavo fosse effetto della sete
ardente; mi sono ingannata. Non erano fiamme di fuoco della terra:
avevano uno splendore incantevole. Mi compenetravano per ore,
tormentando il mio corpo e tutti i sensi; tutto il mio essere ne era
imbevuto e soffriva dolori indicibili. Ciononostante io sentivo
necessità di immergermi in quelle fiamme per purificarmi. Come la
farfalla impazzisce per la fiamma, anch'io impazzivo e, a braccia
aperte, entravo in quel fuoco che tormentava e non distruggeva, animata
da una sola ansia: libera da questo, vado al mio Gesù.
Ignoravo il significato di questa sofferenza. Sentivo
e nulla più (diario, 31-10-1943).
- ... La tua vita non ha nulla di umano, è solo
divina... Gli ornamenti che Io do alle mie spose più care sono spine e
delle più acute. Ma tu trasformale con tanta dolcezza e amore in modo
che tutte diventino pietre preziose. Che meraviglia, che ricchezza è il
tuo cuore, o mia colomba bella! La purezza non si macchia; diventa
sempre più bianca e pura. Tu senti che il tuo spirito è morto? Lo
permisi Io: è morto per il mondo, ma vive di più e meglio per il cielo.
Quel fuoco che ti tormenta significa realmente fuoco del purgatorio. Sta
purificandoti perché dopo morte venga direttamente a Me. Così desidera
la mia Madre benedetta, perché tu sappia ciò che soffrono colà le anime
a noi care. Fallo sapere al mondo. Soffrì tutto, offri tutto per loro...
- (diario, 6-11-1943).
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