Fissai
l'Ostia (della 1° Comunione) che stavo per ricevere, in modo tale che mi
rimase molto impressa nell'anima: mi parve di unirmi a Gesù per non
separarmi mai più da Lui. Mi pare che mi abbia preso il cuore. Non
lasciavo passare nessun giorno senza recitare la preghiera per la visita
al SS. Sacramento, meditata, sia in chiesa, sia in casa e persino per la
strada, facendo sempre la Comunione spirituale. Quando mi alzavo presto
per andare a lavorare nei campi e quando mi trovavo sola, mi mettevo a
contemplare la Natura: contemplazione tanto profonda da dimenticare
quasi che vivevo nel mondo. Arrivavo a rallentare i miei passi e restavo
imbevuta in questo pensiero: la potenza di Dio! Davo sovente consigli a
persone di una certa età, evitando che praticassero persino orrendi
crimini e di tutto mantenevo assoluto segreto.
A Pòvoa de
Varzim per frequentare la scuola. A
quei tempi mancava in Balasar la scuola elementare femminile, che venne
aperta solo nel marzo del 1931: chi voleva e poteva, mandava le figlie a
Pòvoa de Varzim, sede comunale. Deolinda testimoniò a d. Umberto
Pasquale quanto segue:
«Devo
molto a mia madre per averci mandate a scuola; con grande sacrificio ci
mandò a Pòvoa de Varzim per imparare ciò che ella non aveva potuto.
Diceva: - Vi potrà essere utile nella vita –
«Quanto si
avverò questa previsione! Nel 1911 Deolinda doveva terminare il ciclo
delle scuole elementari e nel gennaio di quell'anno ritornò a Pòvoa
conducendo con sè anche Alexandrina, la quale nell'Autobiografia detta:
Nel
gennaio del 1911 andai con mia sorella Deolinda a Pòvoa de Varzim per
frequentare la scuola. Non voglio pensare quanto soffrii per la
separazione dalla mia famiglia. Piansi molto e per molto tempo.
Cercavano di distrarmi, mi coccolavano, mi accontentavano in tutto.
Qualche tempo dopo mi rassegnai.
Le due
sorelle fùrono messe a pensione presso la famiglia del falegname Pietro
Texeira Novo. Alexandrina, che non aveva ancora 7 anni e soffriva nel
sentirsi tanto sradicata, da principio si dedicò poco allo studio. Più
tardi si applicò e imparò a leggere e a scrivere; però non fece in tempo
a fare nessun esame di scuola elementare, come dice lei stessa (vedi
avanti, n. 12). Nei primi tempi della permanenza a Pòvoa, Alexandrina
lasciò sfrenare la sua natura vivace e un po' ribelle:
Continuavo
ad essere molto monella; mi aggrappavo alle carrozze (trainate da
cavalli), mi lasciavo trasportare un po' e poi mi lanciavo a terra e
cadevo. Attraversavo la strada quando stavano arrivando le carrozze. Il
conduttore sentì la necessità di accusarmi presso la padrona di casa
(la donna che la ospitava). Talvolta fuggivo da casa e andavo alla
spiaggia a raccogliere alghe, inoltrandomi nel mare come fanno le
pescatrici. Portavo a casa le alghe e le davo alla padrona che le
vendeva ai contadini (le usavano come concime). Questa cosa,
anche se fatta in fretta, dava ansie alla padrona perchè la facevo di
nascosto.
Alexandrina era molto affezionata alla donna che la ospitava, con la
quale divideva ogni cosa buona, come frutta, dolci che le regalavano.
Mi
comportavo così perchè il mio cuore così voleva, sebbene fossi molto
cattiva.
Commovente
è il seguente episodio.
Mi ricordo
di essere andata a Laundos (a circa 5 km. a nord di Pòvoa) ad
accompagnare la mia padrona che adempiva un voto alla Madonna della
Salute. Con noi vennero sua figlia e mia sorella. Questa la aiutava
tenendole una mano perchè
(arrivata presso il Santuario) camminava in ginocchio e io andavo
davanti e le toglievo via tutte le pietruzze che trovavo sul percorso.
La figlia, che era maggiore di noi, andava a divertirsi.
La prima
Comunione.
Verso i 7 anni, à Pòvoa, Alexandrina fece la
prima Comunione.
Fu il
signor p. Alvaro Matos che mi interrogò sul catechismo, mi confessò e mi
diede per la prima volta la sacra Ostia. Come premio ricevetti una bella
corona del Rosario e una immaginetta. Mentre facevo la Comunione, stavo
in ginocchio sebbene fossi molto giovane. Fissai l'Ostia che stavo per
ricevere in modo tale che mi rimase molto impressa nell'anima: mi parve
di unirmi a Gesù per non separarmi mai più da Lui. Mi pare che mi abbia
preso il cuore. La gioia che provavo era tale da non potersi descrivere:
davo a tutti la buona novella. La responsabile della mia educazione
(la donna che la ospitava) mi conduceva ogni giorno a ricevere la
Comunione.
Le S.
Messe a Pòvoa si celebravano di mattina assai presto e questo la
obbligava ad un molto grande sacrificio per la sua tenera età. P. Pinho
commenta:
«Così Gesù
volle lasciare bene impresso questo suo primo incontro sacramentale con
colei che sarebbe stata sulla Terra una delle anime più eucaristiche,
delle più appassionate per Gesù Sacramentato.»
Quanto
Alexandrina desiderasse ricevere Gesù quotidianamente, è messo bene in
risalto dall'episodio che segue.
Un giorno
mia sorella chiese alla padrona il permesso di andare a studiare a casa
di una sua compagna di scuola che abitava vicino a noi; io pure volevo
andarci. Siccome non me lo permetteva, piansi e alla fine le diedi il
titolo «poveira»
(donna di Pòvoa, spregiativo): ero stizzita. Non mi castigò, ma mi
disse che non potevo confessarmi senza prima chiederle perdono. Mia
sorella mi affermò la stessa cosa. Questo mi ripugnava molto; ma,
siccome volevo confessarmi per fare la Comunione, vinsi il mio orgoglio:
mi misi in ginocchio e a mani alzate le chiesi perdono. Ella si commosse
fino alle lacrime e mi perdonò. Provai una grande gioia per poter così
confessarmi e ricevere Gesù il giorno dopo.
La
Cresima.
Durante la permanenza a Pòvoa ricevette anche il
sacramento della Cresima.
Fu a Vila
do Conde che ricevetti il sacramento della Cresima, amministrato
dall'eccellentissimo e reverendissimo signor vescovo di Oporto (mons.
Antonio Barboso Leone, del quale Alexandrina conservò una fotografia
come caro ricordo). Mi ricordo benissimo di questa cerimonia e che
ricevetti il Sacramento con tutta la consolazione (consolata anche
nella nostalgia della madre e della casa). Non so dire ciò che
sentii in me nel momento in cui fui cresimata: mi parve che fosse una
grazia soprannaturale a trasformarmi e ad unirmi sempre più al Signore.
Su questo punto vorrei esprimermi meglio, ma non riesco.
P. Pinho
commenta in «No Calvario de Balasar»:
«Comincia
presto, pertanto, a sperimentare gli effetti della presenza divina e
della sua azione. Di qui il continuo ricordo di Dio. - Da quando
cominciai ad avere l'uso della ragione, non mi ricordo di aver passato
un giorno senza ricordarmi del Signore.» Il rispetto per i sacerdoti,
inculcatole dalla educazione famigliare, si manifesta anche in
atteggiamenti esteriori, come è descritto nell'Autobiografia: Avevo
molto rispetto per i sacerdoti. Mi ricordo che, sempre a Pòvoa, quando
ero seduta sulla soglia di casa verso la strada, sola o con mia sorella
e con cugine, mi alzavo sempre al passare di sacerdoti ed essi
rispondevano togliendosi il cappello se erano distanti o dandomi la
benedizione se mi passavano vicino. Alcune volte osservai che varie
persone notavano questo e io ne godevo. Arrivavo persino a sedermi di
proposito per avere l'occasione di alzarmi nel momento in cui passavano
presso di me, solo per il piacere di mostrare la mia devozione e il mio
rispetto verso i ministri del Signore.
Ritorno al
paese nativo.
Passati 18
mesi, (interrotti da un periodo di vacanza estiva) appena mia
sorella ebbe superato gli esami (di 3° elementare), tornammo
finalmente a casa
(luglio 1912). Mia madre voleva che io continuassi gli studi, ma io,
da sola, non volli rimanere a Pòvoa: così imparai ben poco. Tornammo nel
luogo dove eravamo nate (Gresufrs) e li ci fermammo 4 mesi; poi
andammo ad abitare in una casa di mia madre, piu vicina alla chiesa
parrocchiale.
La sua
vita di preghiera.
La sua vita di preghiera si fa sempre più
intensa. Deolinda depone al Processo Diocesano:
«Ritornate
a Balasar, mi ricordo che continuavamo ad andare al catechismo, al quale
Alexandrina non mancava mai e cercava di accostarsi il più possibile
alla catechista per fare con lei le sue orazioni, perché già a quel
tempo le piaceva molto pregare.»
A 12 anni
verrà lei stessa nominata catechista e verrà ammessa a fare parte della
cantoria. Ha una bella voce e buona disposizione per la musica:
A 12 anni
mi diedero l'incarico di catechista e mi ammisero alla cantoria.
Lavoravo con molto piacere sia nell'una che nell'altra mansione, ma per
il canto posso dire che avevo una passione folle.
Tale casa
era stata regalata da una zia che la madre di Alexandrina aveva
assistito a lungo durante una malattia. É situata nella frazione detta
"Calvario". Deolinda prosegue così la sua deposizione: «Mi raccontò più
tardi che verso quella eta' (8-9 anni) soleva conservare pezzi di
candela di cui si serviva per leggere alla loro luce le orazioni o il
libro della Messa, che conteneva varie devozioni.« Riguardo ad altre
letture spirituali, nella Autobiografia si legge: Le vite dei santi e le
meditazioni più profonde non mi soddisfacevano, perché vedevo che in
nulla assomigliavo ai santi: invece di farmi del bene mi facevano del
male. Qui si vede già chiaramente la sua aspirazione a diventare santa,
come ripetutamente chiederà poi nella preghiera. Sempre
nell'Autobiografia si legge: Non lasciavo passare nessun giorno senza
recitare la preghiera per la visita al Santissimo Sacramento, meditata,
sia in chiesa, sia in casa e perfino per la strada, facendo sempre la
Comunione spirituale in questo modo: - O mio Gesù, venite al mio povero
cuore! Io Vi desidero, non tardate! Venite ad arricchirmi delle vostre
grazie, aumentate in me il vostro santo e divino amore. Unitemi a Voi,
nascondetemi nel vostro sacro costato. Non voglio altro bene se non Voi.
Amo solo Voi, voglio solo Voi, sospiro solo per Voi. Eterno Padre, Vi
ringrazio per avermi lasciato Gesù nel Santissimo Sacramento. Vi
ringrazio, mio Gesù; e infine chiedo la vostra santa benedizione. Sia
lodato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento! - Dicevo
anche varie giaculatorie. Da queste righe risalta già ben marcata la sua
disposizione spirituale: la devozione all'Eucaristia. In questo periodo
fa la prima confessione generale. Fu a 9 anni che feci per la prima
volta la mia confessione generale e fu il signor frà Emanuele delle
Piaghe che ci confessò. Andammo io, Deolinda e mia cugina Olivia a
Gondifelos dove sua reverenza si trovava (a predicare) e là ci
confessammo tutte e tre. Ci eravamo portate il pranzo perché dovevamo
fermarci nel pomeriggio per la predica. Aspettammo alcune ore e mi
ricordo che non uscimmo dalla chiesa per giocare. Prendemmo il nostro
posto presso l'altare del Sacro Cuore di Gesù e io posi i miei
zoccoletti dentro al cancelletto dell' altare. La predica di quel
pomeriggio fu sull'inferno. Ascoltai con molta attenzione tutte le
parole di sua reverenza, ma ad un certo momento egli ci invitò ad andare
in spirito all'inferno. Non avendo compreso il significato delle sue
parole e avendo sentito dire che il signor frate Emanuele era un santo,
pensavo che noi tutti saremmo andati nell'inferno per vedere ciò che là
accade. Dissi tra me: - All'inferno io non ci vado! Quando tutti vi si
dirigeranno, io andrò via.- E afferrai gli zoccoletti. Vedendo che
nessuno usciva, rimasi io pure, ma non mollai più gli zoccoletti. Di
esperienze mistiche di una sua partecipazione alle pene dell'inferno ne
farà molte, durante il suo lungo martirio di vittima! Sempre verso i 9
anni, anche nel lavoro continua il suo atteggiamento di preghiera. Verso
i 9 anni, quando mi alzavo presto per andare a lavorare nei campi e
quando mi trovavo sola, mi mettevo. Entrando in chiesa se li era tolti,
secondo l'uso, per rispetto al luogo a contemplare la Natura: lo
spuntare dell'aurora, il nascere del sole, il cinguettio degli uccelli,
il mormorio delle acque entravano in me in una contemplazione tanto
profonda da dimenticare quasi che vivevo nel mondo. Arrivavo a
rallentare i miei passi e restavo imbevuta in questo pensiero: la
potenza di Dio! E quando mi trovavo sulla spiaggia del mare, oh, come mi
perdevo davanti a quella grandezza infinita! Di notte nel contemplare il
cielo e le stelle mi pareva di scomparire ancora di più nell'ammirare le
bellezze del Creatore. Quante volte nel mio giardinetto, dove oggi è la
mia cameretta, fissavo il cielo, ascoltavo il mormorio delle acque e
andavo contemplando sempre più questo abisso delle grandezze divine! Mi
spiace di non aver saputo approfittare di tutto questo per cominciare a
quella età le mie meditazioni. Già da queste prime pagine
dell'Autobiografia si sente la capacità di espressione poetica che sarà
un altro fascino di tutti i suoi scritti.
Rigorosa,
vigilante difesa della purezza.
Contemporaneamente si sviluppa una attitudine a difendere la propria
purezza, non solo fisica. Non mi piaceva udire conversazioni maliziose
e, sebbene non comprendessi il loro significato, arrivavo a dire che me
ne sarei andata via se non avessero parlato in altro modo. Mi indignavo
tutta anche quando ero presente a scene indecenti tra persone adulte.
Avevo paura di perdere la mia innocenza e avevo timòre che il Signore
desse qualche castigo. Candido dos Santos testimoniò a d. Umberto
Pasquale: «La vidi un giorno fuggire via da un ragazzo che le aveva
indirizzato una frase inopportuna. Battendosi con l'indice la fronte gli
gridò: - Più sale, mio caro, abbi giudizio! - » E nell'Autobiografia
leggiamo: Sui 13 anni diedi uno schiaffo ad un uomo sposato che mi aveva
indirizzato delle parolacce... Voltai le spalle ad un ragazzo ricco che
mi aveva aspettato in un luogo solitario dove dovevo passare, per
parlarmi di amoreggiamento.
La sua
carità.
Alexandrina ha un cuore tanto sensibile per tutto
il creato, quindi ama anche gli animali ed in particolare gli
uccelletti, che le sono tanto familiari: Nonostante che mi arrampicassi
sugli alberi, poiché mi arrampicavo molto bene, non feci mai del male
agli uccelletti. Non ero capace di portare via i nidi né di divertirmi
con gli uccelli neonati (come invece purtroppo fanno molti bambini
crudeli!). Soffrivo molto quando vedevo nidi disfatti, o quando
udivo il pigolare triste e doloroso degli uccelli genitori privati dei
loro figliolini. Giunsi a piangere di pena per gli uccelli che
rimanevano senza i loro figli e per i figli che perdevano i genitori.
Naturalmente il suo amore, le sue sollecitudini si estendono ai poveri,
ai malati, ai vecchi. Facevo l'elemosina ai poveri e sentivo grande
gioia nel fare opere di carità. Alcune volte piangevo di pena per loro e
per non poterli aiutare in tutte le loro necessità. La mia più grande
soddisfazione era nel dare loro ciò che avevo da mangiare, privandomi
anche del mio alimento. Quante volte l'ho fatto! Un altro episodio
ritrae Alexandrina durante un'opera di carità, ma mette anche in
evidenza la sua forza di volontà, che le fa vincere la paura: Avevo 12 o
13 anni quando i miei zii che abitavano in S. Eulalia di Rio Covo si
ammalarono di febbre spagnola. Mia nonna andò a curarli, ma si ammalò
anche lei. Per prendersene cura, andò mia madre, che pure rimase
ammalata. Alla fine andammo noi, mia sorella e io, sebbene fossimo molto
giovani. Mio zio una notte morì. Rimanemmo là fino alla Messa del
settimo giorno. Una volta fu necessario che io andassi a prendere del
riso, ma dovevo andarvi attraversando la camera nella quale era morto lo
zio. Arrivata alla porta di quella camera, mi prese la paura: non
entrai. Venne a darmelo mia nonna. All'imbrunire bisognava che io
andassi a chiudere la finestra di quella camera. Giunta alla porta della
sala, dissi a me stessa: voglio perdere la paura. Ed entrai adagio
adagio, proprio con quella intenzione. Aprii la porta, passai dove avevo
visto la salma e andai nella camera dove egli era morto. Da allora non
ebbi più paura: mi ero vinta a mie spese. E tanto si è vinta che due
anni dopo avrà addirittura il coraggio di aiutare a vestire le salme! Ho
assistito alla morte di alcuni, pregando come sapevo e alla fine aiutavo
a vestire i defunti, cosa che mi costava immensamente: lo facevo per
carità. Non avevo cuore di lasciare sola la famiglia del morto. Quando
erano tanto poveri, lo facevo molto volentieri. Ed ecco in dettaglio un
episodio che dimostra la forza di volontà di Alexandrina ed il suo
generoso coraggio nel fare un'opera buona presso moribondi e defunti.
Una volta venne a casa mia una ragazza con la notizia che stava morendo
una sua vicina. Deolinda prese un libretto di preghiere e un flaconcino
di acqua benedetta e corse a casa della moribonda. Andarono con lei le
due apprendiste di sarta (che lavoravano con Deolinda); vi andai
anch'io. Mia sorella iniziò a leggere le preghiere della buona morte, ma
era agitata e tremava perché le costava assai assistere i moribondi.
Terminata l'orazione, la donna morì e Deolinda disse: - Ho fatto quanto
ho potuto; ma non ho coraggio per altro. - Salutò ed uscì. Osservai la
figlia presso la salma della madre. La nipote se ne andò anche lei, ma
io non ebbi coraggio di lasciare la figlia da sola. Mi fermai per
aiutarla a lavare e a vestire la defunta. Era coperta di piaghe: esalava
un odore orribile. Credetti di svenire perché mi sentivo male. Un'altra
donna sopraggiunta capì il mio stato e corse a prendere alcuni
ramoscelli di foglie aromatiche, fàcendomele fiutare. Tornai a casa solo
dopo che tutto era sistemato.
Intelligenza e sapienza del cuore.
Col passare degli anni si sviluppa anche l'intelligenza, e molto; e in
essa non manca neppure uno spiccato senso di umorismo: Nelle riunioni di
famiglia, non so cosa dicevo, ma suscitavo molta ilarità alle persone
che mi erano attorno, le quali ridevano di gusto. Mia madre diceva: - I
ricchi hanno un giullare che li fa ridere; io non sono ricca, ma ho qui
anch'io chi sta a rallegrarci. - E d. Umberto Pasquale ricordava che
Alexandrina, alla fine di una lettera da lei scritta, aveva apposto una
successione di punteggiature: !?; col commento: io sono ignorante e non
capisco queste cose; le metta lei a posto nel punto giusto. Ma poichè
Alexandrina vive una vita di preghiera, pur in mezzo alle sue molte
attività, accanto all'intelligenza acuta si sviluppa in lei anche la
sapienza del cuore al punto che molti vanno da lei, nonostante la sua
giovane età, a chiedere consigli e conforto: Davo sovente consigli a
persone di una certa età, evitando che praticassero persino orrendi
crimini (aborti?); e di tutto mantenevo assoluto segreto.
Venivano da me e tenevano conversazioni che non erano proprie della mia
giovane età: le confortavo, dicevo loro ciò che credevo giusto. Di certi
casi venni a conoscenza, a certi altri fui presente; ma, per carità, non
raccontai nulla. Mi ritengo molto grata al Signore per avere agito così:
era per grazia sua e non per virtù mia.
Lavoro.
Tornata da Pòvoa, Alexandrina esplica le sue
energie in tante attività lavorative. Sentiamo Deolinda: «La mamma si
occupava di tessitura, la sorella (Deolinda stessa) imparava a
cucire e lei (Alexandrina), con i suoi 9 anni, lavorava già
molto: cucinava, lavava, le piaceva raccogliere legna. Così continuò
fino ai 12 anni.» Imparava con la sorella a lavorare anche da sarta. Ma
verso i 12 anni cominciano i guai! A 12 anni fui colpita da una màlattia
molto grave, tale da farmi ricevere gli ultimi Sacramenti. Mi preparai a
morire e ricordo che ero ben disposta per la morte. Un giorno in cui la
febbre era molto alta deliravo e ricordo che chiesi a mia madre che mi
desse Gesù. Ella mi presentò un crocifisso e io le dissi: - Non è questo
che io voglio: voglio il Signore del tabernacolo. - Deolinda precisa
nella sua deposizione al Processo Diocesano: «Era una infezione che un
primo medico non diagnosticò; fu chiamato un altro medico che scoprì la
malattia e mia sorella guarì completamente. Fino a 14 anni completi
godette di buona salute.» Deolinda stessa aveva raccontato a p. Pinho:
«Alexandrina andava a passare alcuni periodi di tempo a casa di una zia
che abitava presso Barcelos (a circa 18 km. da Balasar): lì
lavorava a tenere in ordine la casa, quasi come una donna. A 13 anni
lavorava nei campi guadagnando tanto quanto sua madre o qualsiasi
lavorante a giornata: i padroni non facevano distinzione dalle altre
nell'ordinarle i lavori che le affidavano.» A questo punto si ha quello
che Alexandrina chiama «il periodo più doloroso della mia vita di
lavoro»... Sentiamo lei stessa. Mia madre mi mise a servizio nella casa
di un vicino (Lino Ferreira che abitava nella casa antistante a
quella di Alexandrina), ma nel contratto incluse alcune condizioni,
come: darmi la possibilità di confessarmi tutti i mesi, trascorrere i
pomeriggi delle domeniche in casa mia per andare in chiesa e per stare
sotto la vigilanza di mia madre, non farmi uscire dopo l'imbrunire,
ecc... Il contratto fu per 5 mesi, ma non vi rimasi sino alla fine. Il
padrone era un perfetto aguzzino: mi dava nomignoli, mi obbligava ad un
lavoro superiore alle mie forze. Aveva un cattivo carattere e poca
pazienza; persino gli animali lo conoscevano perchè li picchiava e li
spaventava: era quasi impossibile radunare il bestiame quando lui gli
andava vicino. Mi insultava senza motivo davanti a chiunque e io mi
sentivo umiliata. Sebbene fossi all'inizio della mia giovinezza, non
provavo la gioia, per causa di quel triste vivere. Un giorno dovetti
andare al mulino a prendere la farina per una infornata; ma vi arrivai
già sull'imbrunire e perciò quando tornai a casa del padrone era già
molto tardi perchè vi impiegavo un'ora di cammino. Giunta a casa, egli
mi sgridò molto, mi insultò e mi diede persino della ladra. Suo padre,
uomo assai vecchio, si indignò contro di lui e mi difese dicendo che non
avevo avuto tempo per altro. Tutte le sere venivo a dormire a casa.
Quella sera, siccome ero irritata perchè la mia coscienza non mi
rimproverava la più piccola mancanza, mi lamentai con mia madre; ella,
dopo di essersi informata del caso, non mi lasciò più tornare a lavorare
da lui, sebbene egli insistesse molto. Mia madre mi tolse dal servizio,
vedendo che lui non aveva rispettato il contratto. Infatti una volta ero
stata dalle 22 alle 4 del mattino in Pòvoa a custodire 4 coppie di buoi,
perchè il padrone e un suo amico si erano assentati da me. E io, piena
di paura, trascorsi là quelle ore tristissime della notte. Mentre
vigilavo il bestiame, contemplavo le stelle che scintillavano molto e mi
facevano da compagne. Riguardo alle sue condizioni fisiche in questo
periodo, notiamo quanto segue. Il medico Azevedo, che la assisterà dal
gennaio 1941 sino alla morte con la massima sollecitudine e attenzione,
oltre che con competenza, e che la seppe comprendere a fondo, raccolse
anche le sue confidenze; in una "Storia della malattia" redatta nel
luglio 1941 e completata in séguito, scrive, riguardo alla malattia
avuta verso i 12 anni: «Si suppone che sia stata una febbre intestinale
(tifoide?)... Dopo questa malattia grave visse con poca salute». Come
mai Deolinda dice «godette di buona salute»? E come mai la madre permise
che lavorasse nei campi in modo tanto faticoso e poi la ingaggiò con un
contratto a lavorare presso quel vicino di casa? È evidente che
Alexandrina, conoscendo le scarse condizioni economiche della famiglia e
dotata di temperamento generoso nel sacrificarsi, nascose agli altri i
malesseri conseguenti a quella infezione. Anche nel seguente episodio si
nota la sua forza nel sopportare il dolore. Tra i 13 e i 14 anni cade da
un querciolo su cui era salita a prendere dell'edera da dare al
bestiame. Caddi giù rimanendo per un po' di tempo senza potermi muovere
e senza respirare. Mi rialzai poco dopo per continuare il lavoro.
Vediamo già qui il germe di quell'eroismo che la porterà sulle più alte
vette dell'immolazione.