… Io,
vedendo tutto questo, mi buttai nell'orto dalla finestra aperta. Le mie
piu grandi amiche... si misero contro di me: arrivarono a farsi beffe di
me, del mio modo di camminare, della posizione che tenevo in chiesa...
il 14 aprile 1925 si mette a letto per non alzarsi più... Ebbi momenti
di scoraggiamento, mai però di disperazione. Nulla mi legava al mondo
avevo solo nostalgie del mio giardino perche amavo molto i fiori. Giunsi
a fare alcuni voti per ottenere la guarigione, per esempio: tagliare a
zero i miei capelli per me grande sacrificio, vestirmi a lutto per tutta
la vita, andare in ginocchio dalla nostra casa alla chiesa... Pensavo:
se guarirò, andrò subito a farmi suora. Infatti avevo paura a vivere nel
mondo... Volevo essere missionaria per battezzare i moretti e salvare
anime a Gesù.
Un sogno
simbolico.
Nel sabato santo del 1918 avviene un fatto
grave che determina il suo futuro. In precedenza Alexandrina ha un sogno
che simboleggia tutto il percorso della sua vita; lei stessa lo
considera tanto significativo da dire: «rimase impresso nella mia anima
tanto da non essere mai più dimenticato». Tale sogno segue una
esperienza vissuta da Alexandrina, esperienza che essa pure può essere
interpretata come simbolica, così come il sogno. Ecco quanto detta
nell'Autobiografia. Una sera andavo dalla cucina alla camera (la
cucina era a pianterreno e alla camera si accedeva mediante una scaletta
esterna, fatta di assi con ringhiera) con un lume acceso che mi si
spense. Cercai di riaccenderlo tornando in cucina, ma mi si spense
ancora; così varie volte, dovendo io andare su e giù. Non mi ricordo che
ci fosse vento tale da farlo spegnere. L'ultima volta che tentai di
accenderlo caddi e rovesciai il petrolio che mi schizzò in bocca.
Pensando che fosse un diavoletto (a farmi quei dispetti),
esclamai: - Puoi andartene via, che oggi non ottieni nulla! - Andai a
coricarmi molto tranquilla; mi addormentai ed ebbi un sogno che rimase
impresso nella mia anima tanto da non essere mai più dimenticato. Fu
questo. Salii al Paradiso su dei gradini tanto stretti che a stento
potevo appoggiarvi la punta dei piedi. Arrivai là con molta difficoltà e
dopo molto tempo, perchè non avevo nulla a cui aggrapparmi. Lungo il
cammino vedevo alcune anime che stavano ai lati della scala, dandomi
conforto senza parlarmi. Là in cima vidi al centro, su di un trono, il
Signore e al suo fianco la Mamma celeste. Tutto il Cielo era affollato
di beati. Dopo di aver contemplato tutto questo, dovetti ritornare sulla
Terra, cosa che non volevo. Scesi con molta facilità e mi trovai sulla
Terra: tutto era scomparso. Dopo, mi destai. Sia nell'esperienza del
salire alla camera, sia nel sogno, sono ben chiari tutti gli elementi
essenziali della sua vita futura: volontà di salire con costanza nel
riprendere, molta difficoltà dovendo passare per una via difficilissima,
forze del male che ostacolano con insistenza, aiuto delle forze del bene
(alcune anime ai lati della scala), lotta senza aiuti sostanziali e
continui (non ha nulla a cui aggrapparsi e le anime la aiutano ma senza
parlarle); e infine, nel sogno, la meta luminosa con le due grandi
figure che la attirano: Gesù e Maria. Naturalmente il sogno finisce con
il ritorno sulla Terra, perchè Alexandrina deve cominciare dal principio
di quella scala.
Il salto
determinante.
Ed ecco il sabato santo del 1918. Nella
stanza dove Deolinda cuce vi sono ad aiutarla una apprendista (Rosalina
Conçalves de Almeida) ed Alexandrina, che pure impara a cucire. Le tre
giovani parlano poco e meditano sul Cristo sepolto. Nella casetta non
c'è nessun altro. Ad un certo momento... Avvistammo tre uomini: quello
che era stato il mio padrone (Lino Ferreira), un altro uomo
sposato (Antonio da Costa Faria) e un terzo celibe (Gamillo da
Costa Faria). Mia sorella, avendo intuito qualcosa e vedendoli
imboccare il sentiero di casa nostra, mi ordinò di chiudere la porta
della stanza. Alcuni istanti dopo, sentimmo che salivano la scala che
porta alla stanza. Bussarono alla porta. Rispose mia sorella. Quello che
era stato il mio padrone ordinò di aprire la porta; ma, siccome non
avevamo confezioni per loro, non aprimmo. Il mio ex padrone conosceva
bene la casa e salì per una scala interna all'abitazione, mentre gli
altri rimasero alla porta dove avevano bussato. Egli, non potendo
entrare attraverso una botola che era chiusa e con, sopra la macchina da
cucire (trascinata dalle ragazze sulla botola per impedire
l'entrata), afferrò una mazza e diede colpi forti sull'assito della
botola fino a spaccarla e tentò di passare per di lì. Mia sorella, nel
vedere questo, aprì la porta della stanza per fuggire e riuscì a
svincolarsi nonostante che egli l'avesse afferrata per la veste. L'altra
ragazza tentò di fuggire per seconda, ma rimase presa. Io, nel vedere
tutto questo, mi buttai nell'orto dalla finestra aperta. Sentii un
grande spavento perchè la finestra distava circa 4 metri dal suolo.
Tentai di rialzarmi subito, ma non potei per un forte dolore al ventre.
Nel saltare mi cadde, senza che me ne accorgessi, un anello che avevo al
dito. Piena di coraggio, afferrai un palo, entrai dal cancelletto
dell'orto nell'aia dove mia sorella discuteva coi due uomini sposati;
l'altra ragazza era nella stanza con quello celibe. Io mi avvicinai e li
chiamai «cani!» e dissi che, o lasciavano libera la ragazza, o
altrimenti avrei gridato contro di loro. Accettarono la proposta e la
lasciarono uscire. Fu in quel momento che mi accorsi della mancanza
dell'anello ed esclamai di nuovo: - Cani che siete! Per causa vostra ho
perso il mio anello. - Uno di loro, che aveva nelle dita vari anelli, mi
disse: - Scegline uno. - Ma io, irritata, risposi: - Non voglio! - Non
demmo loro più retta alcuna e se ne andarono. Noi continuammo a
lavorare. Di tutto questo non raccontammo nulla a nessuno, ma mia madre
venne a sapere tutto. Poco dopo cominciai a soffrire sempre di più e
tutta la gente diceva che era dovuto al salto che avevo fatto. Anche i
medici affermarono che quel salto aveva contribuito molto alla mia
infermità.
Prime
conseguenze del salto; sofferenze anche morali.
Il medico Azevedo al processo Diocesano depone: «Da
allora si andarono accentuando le sue sofferenze tanto da costarle assai
il camminare e da presentare segni che un giorno non avrebbe potuto più
camminare, ed il dott. Giovanni de Mmeida disse alla madre che forse
sarebbe diventata paralizzata, poichè era dell'opinione che fosse
portatrice di una mielite, che fu poi confermata dal dott. Gomes de
Araùjo e da altri medici." Quattro mesi dopo quel salto cominciano a
farsi sentire fortemente le conseguenze: A 14 anni e 4 mesi cessai per
sempre di lavorare, sebbene vi siano stati mesi in cui lavorai con molta
fatica. La madre comincia a condurla da farmacisti, per economia; poi,
vedendo che peggiora, la conduce da alcuni medici i quali la
sottopongono ad una dieta che la indebolisce tanto da obbligarla a stare
a letto per tre settimane circa. La curano per disturbi intestinali,
poichè ha dolori all'addome e non riesce a mangiare. All'inizio si sente
compresa e non soffre moralmente, ma poi... Le mie più grandi amiche,
alcune persone di famiglia e persino lo stesso parroco si misero contro
di me: arrivarono a farsi beffe di me, del mio modo di camminare, della
posizione che tenevo in chiesa; ma io non potevo stare in altro modo. Il
signor parroco mi diceva che non mangiavo perché non volevo e che se
fossi morta sarei andata all'inferno... Queste parole mi fecero soffrire
molto nel mio intimo e io mi sfogavo col Signore. Quando andavo da casa
alla chiesa e da questa a casa, guardavo le montagne intorno e pensavo
di fuggire e rifugiarmi dove più nessuno mi vedesse. Ma il Signore non
mi lasciò mai fare questo. Piansi tanto tanto nel vedermi in quella
condizione...
Mentre
tenta una cura a Pòvoa.
Dopo circa un anno migliora un poco
nella salute e va a Pòvoa per una cura di sabbiature e bagni di sole; ma
non ne ha giovamento. In questa sua permanenza a Pòvoa, Alexandrina non
è più la bimba di 7 - 8 anni, ma una bella giovane con folti e lunghi
capelli neri che incorniciano un volto espressivo ravvivato da due occhi
neri, vivaci, luminosi e che alle volte il sorriso rischiara con una
bella fila di denti bianchissimi. È quindi comprensibile che sia oggetto
di attenzione da parte di giovani, anche seri. Varie volte fui
importunata da ragazzi che mi chiedevano di fare all'amore, ma non
accettai mai. Ad uno che mi parlava di matrimonio arrivai a dire: - Non
lascio la mia famiglia per un uomo. - Come tutte le giovani normali ed
equilibrate, anche Alexandrina pensa che un giorno farà la sua famiglia
e desidera educare i figli molto bene, sulla via del Signore: Alle volte
riflettevo su come avrei educato i miei figli, qualora mi fossi sposata,
perché fossero tutti del Signore.
Prime visite mediche ad Oporto lieve, temporaneo miglioramento.
Poichè la
cura a Pòvoa non ha servito a nulla, Alexandrina viene consigliata di
farsi visitare da uno specialista e nel 1922 fa il suo primo viaggio ad
Oporto, per consultare lo specialista Abel Pacheco, che la sottomette ad
un esame rigoroso, molto rigoroso. In quella occasione Mexandrina piange
molto per i dolori e per la vergogna. Il dott. Pacheco avvisa il medico
curante che non guarirà. Sempre nel 1922 si mette a letto per 5 mesi
consecutivi. Nel marzo 1923 muore la nonna materna e il suo grande
dolore è aumentato dal fatto di non poter visitarne neppure la salma,
per causa della sua malattia che la fa anche svenire sovente. Però
nell'aprile dello stesso anno migliorano un po' le sue condizioni di
salute e comincia ad alzarsi. I suoi primi passi sono verso la chiesa,
dove riesce anche, sebbene con molto sforzo, a cantare, specie nelle
feste. Deolinda dirà a p. Pinho: «A quell'epoca il gruppo dei cantori
era molto piccolo e si avvertiva la mancanza della sua voce, perchè
cantava bene e apparteneva al gruppo fin da giovinetta.» Il 27 marzo
1924 deve affrontare un secondo viaggio ad Oporto per essere visitata
dal dott. Giovanni de Almeida, perchè non può sedersi; le sono proposti
bagni di sole, che fa senza alcun risultato; così pure le varie
medicazioni.
Partecipa al
Congresso Eucaristico Nazionale.
Nel 1924
(in giugno), con molta fatica, prende parte al Congresso Eucaristico in
Braga, ma poco dopo deve mettersi a letto definitivamente per molti
dolori al ventre e alla regione lombo-sacrale, con difficoltà ad
urinare, con coliche alla vescica e sempre senza potersi sedere...
Quanta vita spirituale avrà sentito in sé partecipando a quel Congresso,
lei, anima già tanto eucaristica! E fuori dalla sala del Congresso,
chissà quanto la sua anima vibrò mentre gli sguardi abbracciavano il
magnifico panorama che si gode dal colle del Santuario del Sameiro! Avrà
certo elevato bellissime lodi al Signore per le meraviglie del creato,
lei che tanto squisitamente le sapeva sentire... E pensiamo che avrà
anche avuto un acuto dolore di nostalgia presentendo, poichè si sentiva
già tanto malata, che mai più avrebbe accarezzato con lo sguardo
panorami tanto estesi.
A letto per sempre!
Arriva la
primavera del 1925. Mentre tutta la Natura si apre in festa ad ogni
forma di vita, mentre il giardino si riveste dei primi boccioli, le
sassifraghe mettono la tenue tinta rosa-lilla ad addolcire la durezza
delle pietre grige e gli uccelletti alzano i loro cinguettii al cielo,
Alexandrina avanza sempre più verso la sua tragedia. Il 14 aprile 1925
si mette a letto per non alzarsi più: ha davanti a sé gli ultimi 30 anni
di vita! Questa data, come è naturale, rimane ben stampata nel profondo
del suo cuore! Nel corso degli anni più volte ricorderà tale
anniversario: per esempio dopo 14 anni (vedi L. del 13-4-1939) e dopo 25
anni (vedi S.14-4-1950), le sue nozze d'argento con il letto!
Nell'Autobiografia si legge: A partire da quel momento cominciai ad
avere per infermiera mia sorella, perchè mia madre si occupava dei
lavori di campagna e mia sorella faceva la sarta. Ebbi momenti di
scoraggiamento, mai però di disperazione. Nulla mi legava al mondo;
avevo solo nostalgie del mio giardinetto perchè amavo molto i fiori.
Alcune volte, in braccio a mia sorella, andai a vederlo per soddisfare
un po' la mia nostalgia. Avevo molte nostalgie per la statua di Gesù che
sta nella nostra chiesa e, quando vi erano le feste del Sacro Cuore o le
Messe cantate, piangevo amaramente. Siccome facevo parte del coro, mi
rattristava molto vedere partire per la chiesa mia sorella, che pure
cantava, mentre io dovevo rimanere. Quante volte ella mi diceva: - Se tu
potessi stare là distesa, io ti ci porterei in braccio! - Lei piangeva
per andare e per dovere io rimanere; e io piangevo nel vederla uscire
senza poterla accompagnare. Ma mi conformavo sempre alla volontà del
Signore... Quanto sono lunghe le giornate e ancor di più le notti
insonni, fra tanti dolori! Alexandrina, pur nelle sofferenze, continua a
pregare tanto; ma nei primi anni cerca anche di distrarsi, come è ben
comprensibile: Nei primi anni tentavo di distrarmi e persino chiedevo
che giocassero alle carte con me; altre volte giocavo da sola. Mi
dispiace di non aver pensato sin da principio, come penso adesso, a
vivere tutta unita solo al mio Gesù. Si alternano periodi in cui le pare
di perdere la nostalgia per le cose terrene a periodi in cui si
riaccende acuto il desiderio di guarire.
Infelice chi è paralizzato!
In alcuni
episodi raccontati nell'Autobiografia risalta l'angoscia per essere
bloccata in un letto. Ne riportiamo tre. Un giorno in cui dovetti
restare sola per un po' di tempo presi un grande spavento. Venne da me
una vicina per sapere se abbisognavo di qualcosa; nell'andarsene lasciò
aperta la porta della veranda e poco dopo, per la stessa porta, entrò la
nostra capretta e si diresse verso la sala dove avevamo i vasi di
begonie e di capilvenere molto floridi e teneri, con i quali adornavamo
gli altari della nostra chiesa in occasione delle feste. Nel vederla
dirigersi là, la chiamai; ella mi guardò, ma non fece caso a me. Le
buttai dei pezzetti di mela, ma non li mangiò; le mostrai una mela e la
chiamai fino a che si avvicinò a me; la afferrai, le diedi una mela e me
la tenni stretta quasi due ore, ora facendole carezze, ora dandole degli
schiaffetti. Quando arrivò mia sorella rimase meravigliata del fatto
che, a letto, avessi potuto intrattenere l'animale per tanto tempo.
Attribuisco questo ad una grazia di Gesù, perché la porta della sala era
aperta e la capretta, anche se non avesse mangiato le piantine, avrebbe
rovinato tutto. Quanto devo a Gesù! Io ero inchiodata a letto ed Egli mi
risparmiò questo dispiacere. Poco tempo dopo ebbi un'altra sofferenza
più dolorosa. Mia sorella era fuori dal paese e mia madre era fuori al
mercato del paese. Io rimasi con la ragazza incaricata da mia madre di
prestarmi i servizi fino al suo ritorno dal mercato. La ragazza,
nonostante avesse più di 20 anni, ritenne di poter assentarsi prima che
arrivasse mia madre; e così fece. Quando ella uscì, le dissi: - Se vuoi
andare, vai: mia madre e mia sorella mi troveranno qui, viva o morta. -
Appena fu uscita, vennero presso di me alcuni gattini per farmi festa,
sollevando le zampette in aria perché io dessi la mano e riuscirono a
salire sul mio letto. Ma, siccome io non li volevo lì, li scrollai e
andarono per terra. Alcuni momenti dopo sentii che uno di essi cadde in
una bacinella di acqua e morì affogato! Lo udivo lottare nell'acqua
contro la morte: miagolava molto! Sua madre miagolava pure. Io, che non
avevo coraggio di udire tutto quello, cominciai a piangere dicendo: - O
Mamma celeste, fate che venga qui qualcuno per soccorrerlo!. Aiutatemi,
Gesù, santa Teresina! - e altri santi. Dicevo pure: - Infelice chi è
paralitico! - Per caso entrarono due persone e nel sentire i miei
singhiozzi vennero in camera e rimasero addolorate al vedere la mia
afflizione. Il gattino era morto! Io non mi sono irritata: piangevo di
pena per gli animali, ma non ho offeso Gesù. Questo episodio fu causa di
grandi dispiaceri morali perché mia madre e mia sorella non approvarono
il comportamento della ragazza; poi le perdonarono tutto e io pure.
Siccome mi piaceva stare sola e specialmente alla domenica quando vi era
l'adorazione al Santissimo Sacramento, a tutti i miei dicevo che vi
andassero e mi lasciassero sola con Gesù. Una domenica, poco dopo che
tutti erano usciti, mi misi a pregare e udii che qualcuno apriva il
portone verso strada, saliva le scale e ad alta voce diceva: - Aprimi la
porta! - Dalla voce riconobbi la persona. Rimasi molto spaventata: ah,
che sarebbe di me se egli riuscisse ad entrare! Strinsi tra le mie mani
la mia corona del Rosario con tutta la fiducia, mentre quella persona
continuava a spingere la porta con tutta la forza. Non riuscì ad
aprirla, per quanto non fosse chiusa a chiave. Pensavo al modo con cui
dovevo parlargli e, per lo spavento, non potevo nemmeno respirare.
Siccome non riuscì ad aprire la porta, se ne andò, lasciandomi in pace.
Rimasi tanto piena di paura che non tornai più a restare sola, a meno
che non mi chiudessero dentro a chiave. Attribuii questa grazia a Gesù e
alla Mamma celeste che mi liberarono da quella brutta compagnia: avrei
voluto vedermi piuttosto in compagnia del demonio dell'inferno. È quindi
ben comprensibile che invochi di guarire! Giunsi a fare alcuni voti per
ottenere la guarigione, per esempio: tagliare a zero i miei capelli, che
era per me un grande sacrificio; dare tutto il mio oro e vestirmi a
lutto per tutta la vita; andare in ginocchio dalla nostra casa alla
chiesa. Anche mia madre, mia sorella e le mie cugine fecero grandi voti.
Alla fine capii che la volontà del Signore era che io restassi ammalata.
Allora cessai di chiedere la mia guarigione.
Devozione a
Maria: prediletto è il suo mese.
Con il suo
grande amore per Gesù, Alexandrina nutre anche tanto amore per Maria e
celebra il mese di maggio con particolare devozione: Mi piaceva molto
celebrarlo tutta sola: meditavo, cantavo, pregavo e alcune volte
piangevo, mentre chiedevo alla Mamma del Cielo di liberarmi dalla grande
tribolazione che stavo attraversando. Cantavo il «Tantum ergo» come se
fossi in chiesa e stessi per ricevere la benedizione eucaristica col
Santissimo. Siccome non avevo il Santissimo Sacramento in casa, né alcun
sacerdote che venisse a darmi la benedizione, chiedevo al Signore che me
la desse dal Cielo e da tutti i tabernacoli. Oh, che momenti tanto
felici! Sentivo scendere su di me tutte le benedzioni e l'amore del
Signore. In quei momenti chiedevo a Gesù di benedire tutta la mia
famiglia e tutti i miei cari. Siccome Alexandrina non ha nessun quadro
della Madonna, nei primi anni il parroco gliene presta uno durante il
mese di maggio, che le lascia poi la nostalgia nel restituirlo. Di qui
il desiderio di averne uno per sè. Ma scarseggia il denaro! Ecco come
risolve il problema: Siccome non avevo denaro, varie persone mi
aiutarono. Un'amica mi diede alcune pollastrelle che mia sorella allevò
fino a che fecero le uova da cui poi nacquero i pulcini. Così andai
raggranellando la somma necessaria per una statuetta, la campana di
vetro e la mensola,ecc. Non so descrivere la consolazione che sentii nel
vedere che possedevo per sempre una statuetta della cara Mamma e che
sarei rimasta a contemplarla giorno e notte.
Ancora invocazioni di guarigione.
Nel 1928,
undici anni dopo le apparizioni della Madonna a Fatima, viene
organizzato un pellegrinaggio a cui partecipano varie persone di
Balasar. Alexandrina, avendo saputo di alcuni miracoli, sente il
desiderio di andarvi con la speranza di guarire. Sia il medico curante,
sia il parroco non glielo permettono, dato il suo stato di salute. Ci va
il parroco promettendole di chiedere per lei la guarigione: se questa
fosse avvenuta, sarebbe andata a Fatima a ringraziare e il medico
promette di fare la relazione del miracolo, se avverrà. Il parroco le
porta da Fatima una medaglietta, una corona del Rosario, un po' di acqua
di Fatima e il «Manuale del pellegrino» consigliandole di bere l'acqua e
di fare una novena alla Madonna con il fine di guarire. Non ne feci una
sola, ma molte! Cantavo molto e dicevo alle vicine che venivano a farmi
visita: - Se un giorno mi rivedrete per la strada e mi udirete cantare,
sono io che ringrazierò la Madonna per la grazia ricevuta. -Credevo che
sarei guarita, ma mi ingannavo: era la mia grande fiducia nella Madonna
e in Gesù che mi faceva parlare così. Pensavo: se guarirò, andrò subito
subito a farmi suora. Infatti avevo paura a vivere nel mondo. Non avrei
nemmeno più fatto visita alla mia famiglia: volevo essere missionaria
per battezzare i moretti e salvare anime a Gesù.